Danny Boyle e Alex Garland si sono riappropriati della loro creatura. Il grande successo di 28 giorni dopo, uscito nel 2002, ha infatti portato alla realizzazione di un sequel, 28 settimane dopo, dai due però soltanto prodotto. A 23 anni di distanza esce quindi, il 18 giugno nelle sale italiane, 28 anni dopo, che ha una funzione magica: è il terzo film della saga, ma allo stesso tempo dà inizio a una nuova trilogia.

Come suggerisce il titolo, è ambientato 28 anni dopo l'inizio dell'epidemia diffusa in Gran Bretagna, in seguito a cui l'isola è stata messa in quarantena. Il virus non si è estinto, anzi. Seguiamo quindi la storia di una famiglia, quella di Spike (Alfie Williams, un talento), la cui mamma, Isla (Jodie Comer), non sta bene.
Un paese tornato a un'epoca pre-tecnologia, i terribili Alfa, nuovi personaggi che promettono grandi cose (dopo I peccatori, Jack O'Connell ha un altro ruolo folle e molto interessante): Danny Boyle è venuto a Roma per presentare il suo nuovo film e parlare di tutto questo. Nella nostra intervista ci svela qual è, secondo lui, il segreto per far diventare un horror indimenticabile. Ovvero: l'innocenza.
28 anni dopo: intervista a Danny Boyle
In 28 Anni Dopo c'è un'idea molto interessante: quella del "memento mori". In un'epoca in cui cerchiamo di evitare anche solo di pensare alla morte, arrivando a negarla costantemente, quanto è importante invece ricordarla?
Per Danny Boyle è fondamentale: "È interessante: chi si occupa di tecnologia, in tutto il mondo, sta studiando come non morire, come vivere per sempre. Stanno investendo ingenti somme di denaro nel tentativo di vivere per sempre. Jeff Bezos, tutti quei tipi, sono tutti pazzi che vogliono vivere per sempre. C'è qualcosa di liberatorio nel capire che apparteniamo a qualcosa di magnifico, ma temporaneo. Inoltre, non è solo temporaneo, ma è anche equo. Non importa quanto tu sia ricco, bello o di successo rispetto a un senzatetto. State andando tutti nello stesso posto: la tua destinazione è esattamente la stessa".
"Questo pensiero è piuttosto liberatorio. Soprattutto quando il dottore, Kelson, lo collega al fatto che è necessario ricordare anche che devi amare: memento amoris. Trovo che questo sia un elemento sorprendentemente pieno di speranza all'interno del genere horror. Nel contesto di uno scenario simile, questo monumento fatto di un mucchio di teschi all'inizio ti fa pensare che sia soltanto un tipico elemento horror. Ma, in realtà, è un ricordo prezioso di tutti coloro che non ci sono più. Lui vuole ricordarli e non semplicemente scartarli".
L'orrore vero è abituarsi a tutto

In 28 anni dopo ci sono zombie che corrono e zombie giganteschi, ma forse la cosa più impressionante a cui assistiamo è il fatto che gli esseri umani siano in grado di abituarsi alle cose più atroci. Succede anche a noi: ogni giorno vediamo immagini terrificanti sui social o al telegiornale e ci sembrano sempre più "normali".

Boyle voleva proprio inserire questa idea nella storia: "Una delle cose più strane del COVID è che, mentre lo stavamo vivendo, all'inizio era così: tutti noi ci comportavamo in modo molto rigido con le mascherine. E, quando ripensiamo alla nostra reazione, sembra incredibile che ci siamo comportati così. Ma gradualmente ci si abitua e si inizia a correre dei rischi. Rischia e fai un passo avanti: ti ci abituerai. Siamo così flessibili da poter assorbire qualsiasi cosa. È pericoloso perché si perde di vista il valore essenziale, ciò che è veramente importante nella vita. E diventi miope riguardo ai tuoi piccoli progressi".
"E il quadro più ampio, che Kelson rappresenta, in un certo senso, è invece molto più importante. E penso che anche la madre, in modo semplice, rappresenti questo. Lei dice a Spike: devi ricordarti di ridere. Tuo padre ti fa ridere? E quando il ragazzo dice di no, lei fa una smorfia. E lo fa ridere! Sono proprio queste piccole cose che costituiscono una crepa nell'edificio, questo orribile edificio di difesa, virilità, guerra, violenza, uccisione e protezione, isolamento e pericolo. C'è un piccolo barlume lì, e lui segue quel barlume, piuttosto che seguire le orme del padre".
Gli esseri umani e l'intelligenza artificiale
A proposito di cose a cui ci siamo abituati: c'è una scena in cui Spike vede la foto di una ragazza che si è sottoposta a chirurgia plastica e dice che sembra abbia una reazione allergica. In futuro, guardando a cosa ci stiamo sottoponendo, diremo: ma cosa ci siamo fatti?!

Per Boyle: "Sì, perché sembra che non ci sia fine a ciò che sta accadendo con quella tecnologia. E ci fonderemo con l'intelligenza artificiale e con le macchine. Diventeranno parte di noi. Come riusciremo a mantenere la nostra umanità sarà una delle domande da porsi. L'umorismo è un ottimo modo per farlo, secondo me. Non sono sicuro di quale sia il senso dell'umorismo dell'AI, ma sono certo che lo avrà: ne svilupperà uno tutto suo. Ma se possa eguagliare il nostro, non lo so".
I Teletubbies

Il film si apre con dei bambini che guardano i Teletubbies. Perché proprio quel programma? Il regista: "Beh, in un film horror ci vuole innocenza. Non sei obbligato a mettercela, ma se in un film horror è possibile trovare l'innocenza, è un ottimo punto di partenza. E cosa c'è di più innocente dei Teletubbies all'inizio del film? E ovviamente tornano anche al finale, in una forma insolita. E torneranno anche nel secondo film. Quindi, se vedrete anche il prossimo, c'è un ritorno dei Teletubbies. Ha a che fare con l'innocenza e con la dinamica che crea in un horror: tra l'orrore e l'innocenza infantile, in un certo senso. È per questo che li abbiamo usati".