Di AIDS, oggi, non si parla più, ma la realtà è che non se ne è mai parlato abbastanza; la sindrome da immunodeficienza acquisita ha sempre portato con sé uno stigma sociale che la qualifica come una sorta di punizione divina per i depravati e i viziosi; cosa che per anni ha effettivamente rallentato il lavoro di sensibilizzazione, informazione e sperimentazione farmaceutica destinato a migliorare l'aspettativa di vita dei malati e a prevenire il diffondersi dell'epidemia.
A porre rimedio all'indifferenza dei governi furono le organizzazioni di attivisti politici, tra le quali ACT UP (AIDS Coalition to Unleash Power) fu una delle più aggressive e penetranti. È nel cuore del movimento che ci conduce Robin Campillo, alla terza regia dopo Eastern Boys del 2013 e a ben tredici anni dal suo notevole esordio Les revenants - Quelli che ritornano. Con un'immediatezza e un'immersività senza troppi convenevoli e artifici che ci ricordano alcuni tra i migliori film francesi degli ultimi dieci anni (uno dei quali, La classe - Entre les murs di Laurent Cantet, era scritto proprio da Campillo) ci troviamo al fianco del neofita Nathan, venticinquenne che è sfuggito miracolosamente al contagio e che è deciso a dare il suo contributo per migliorare la vita dei giovani francesi colpiti dall'HIV.
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L'amore, l'amicizia e il nemico silenzioso
Come il suo corrispettivo newyorkese, fondato nel 1987, anche lo ACT UP parigino nacque in seno alle comunità LGBT, e si dedicò ad attività molteplici, dalle manifestazioni pacifiche alle incursioni negli uffici delle case farmaceutiche, fino ai blitz nelle scuole per distribuire materiale informativo sull'uso dei preservativi. Nel gruppo a cui approda Nathan non mancano divergenze e scontri sulle strategie e sui metodi da adottare e Campillo li esplora mettendo in scena il dibattito con la stessa formidabile naturalezza e attenzione al dettaglio che caratterizzava le discussioni ne La classe.
Se manca un po' della spontaneità dei ragazzini del film di Cantet, qui abbiamo attori adulti che danno prova di straordinaria duttilità e intesa con il loro timoniere, e il risultato è un ensemble vibrante e irresistibile, il ritratto di una grande famiglia scatenata ma anche destinata ad accompagnare gran parte dei suoi membri, uno dopo l'altro, in un viaggio senza ritorno. È così anche per Nathan, che, crescendo umanamente e politicamente grazie al suo lavoro nell'organizzazione, deve affrontare la prova più difficile nell'assistere all'aggravarsi delle condizioni di Sean, il carismatico e irresistibile veterano del gruppo di cui ben presto s'innamora.
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La vie de Sean
Uno dei molti meriti di 120 battements par minute - opera in ogni caso pregevole per la ricerca visiva ed estetica quando per il lavoro con l'ensemble - è quello di non distogliere lo sguardo dall'esuberanza sessuale dei suoi protagonisti, celebrandone la libertà e la voglia di divertirsi, e allo stesso tempo raccontando una storia d'amore profonda e stabile, non scevra da obblighi dolorosi ed esplorata fino nell'intimità. Le scene di sesso del film sono girate con un'intensità e una sensualità che ne fanno quasi una versione virata al maschile degli splendidi incontri erotici al cuore de La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, con la differenza che l'adolescente Adèle si affacciava appena alla vita, mentre il film di Campillo conduce i suoi eroi verso una logorante agonia. Questo rende l'amore tra Sean e Nathan avido più che curioso, struggente più che euforico, senza che il loro dramma, che costituisce l'architrave narrativa del film, ne soffochi minimamente la vitalità.
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Così in Sean (Nahuel Pérez Biscayart, l'elemento più scintillante di un cast magnifico), queen e guerriero, si possono sposare perfettamente il dramma personale e il messaggio socio-politico che Robin Campillo intende celebrare attingendo alla sua esperienza personale come membro di ACT UP. Regalandoci uno dei film più coinvolgenti ed emozionanti che vedremo quest'anno.