Come nasce una stella
In principio erano i Take That, i Backstreet Boys, gli 'N Sync a smuovere orde di ragazzine e fare la fortuna dei discografici. Boy band create a tavolino da produttori dall'occhio lungo, di cui, più della preparazione musicale, era il bell'aspetto dei componenti a decretare il successo. Ma gli anni passano velocemente, e nell'era del web 2.0 l'idolo delle preadolescenti è un ragazzino canadese che deve tutto a internet: da quando, nel 2007, Justin Bieber e la madre iniziarono a pubblicare le sue prime cover su YouTube, il riscontro di pubblico è cresciuto esponenzialmente, tanto da portare il giovanissimo artista ad esibirsi in uno dei templi internazionali della musica, il Madison Square Garden.
Proprio la preparazione a questo evento costituisce la struttura portante di Justin Bieber: Never Say Never, alla quale si affiancano filmati relativi ai precocissimi esordi di Justin, che già all'età di due anni si dilettava con la batteria invadendo la sala prove dei vicini di casa, e le testimonianze dei compagni di avventura del cantante: la madre, il manager, l'insegnante di canto e le tante guest star con cui ha condiviso il palcoscenico. All'immagine pubblica del cantante, quella idolatrata non soltanto dalle ragazzine sue coetanee, ma anche da un'audience molto più infantile e persino dalle relative madri, viene sovrapposta quella meno nota del Justin giocatore di basket in compagnia degli amici di sempre, o del ragazzo che si ferma a complimentarsi con la violinista bambina che suona per strada, incoraggiandola con il proprio motto personale, quel "never say never" che l'ha catapultato dalla provincia sconosciuta alla notorietà planetaria. Peccato che a questa dimensione privata venga dedicata una parte fin troppo esigua nell'economia generale della pellicola: dopo le prime sequenze, in cui il Justin bambino stupisce per il proprio talento e diverte con il suo genuino entusiasmo, l'attenzione si sposta progressivamente sul suo entourage, offrendoci un punto di vista sì partecipato, ma comunque esterno, e che rende conto solo parzialmente di quelle che potrebbero essere le curiosità di cui il suo pubblico è alla ricerca. Il lavoro di Jon Chu, più che un documentario sul ragazzo, sembra essere un documentario sul fenomeno Justin Bieber, generato dal passaparola online, catalizzato da collaborazioni blasonate ma soprattutto alimentato da un esercito di sostenitrici che rasentano l'adorazione. E' un film per le fan, ma anche sulle fan, spesso le vere protagoniste della scena, e questa prospettiva decentrata, insieme a una parte finale che si dilunga eccessivamente, contribuisce a rendere meno coinvolgente l'esperienza visiva. Il merito di Never Say Never è quindi soprattutto quello di offrire al pubblico italiano, che molto difficilmente avrà avuto la possibilità di assistervi in prima persona, la performance di Bieber al Madison Square Garden, arricchita per l'occasione da elementi in 3d, ovviamente applicati in postproduzione. Rimane però l'impressione che si potessero mettere in evidenza aspetti più personali del protagonista, e soprassedere su alcune sequenze smaccatamente retoriche, tanto più pensando al potenziale autoironico che il cantante lascia emergere quando viene colto al di fuori del proprio ruolo "istituzionale".
Movieplayer.it
2.0/5