Con questo The Next Three Days, un regista affermato come Paul Haggis si è in qualche modo accodato alla moda (mai esauritasi) dei remake hollywoodiani di pellicole appartenenti ad altre cinematografie: qui, il film originale è di tre anni fa, un thriller francese dal titolo Anything for Her (Pour Elle). Nonostante il carattere derivativo di questo lavoro, il regista di Crash - Contatto fisico è riuscito a inserire elementi della sua poetica (e dei suoi temi preferiti) in una solida struttura da thriller, confezionando un prodotto appetibile e a suo modo problematico, grazie anche a un volto particolarmente adatto al soggetto come quello di Russell Crowe. Di questo suo ultimo film, e in generale del suo cinema, Haggis ha parlato nella conferenza stampa di presentazione, svoltasi stamattina in un hotel del centro di Roma.
Il film è molto di più di un thriller, ci sono diversi sottotesti. Forse, però, alla fine viene svelato più del necessario. Perché questa scelta?
Paul Haggis: Lei pensa che io abbia fatto questo? Questo è solo ciò che ipotizzate voi. Il flashback finale fa pensare alla conclusione che lo spettatore vorrebbe vedere, ma in realtà si tratta solo delle immagini iniziali viste da un altro punto di vista. Potrebbero corrispondere a verità o meno. Nel film, il protagonista mette alla prova ciò in cui lui crede, il suo stesso amore per questa donna: è questo l'elemento principale.
Perché un remake di Pour Elle proprio adesso? Cosa voleva sottolineare, della storia originale?
Ho amato il film originale, è un'opera molto potente. Tuttavia, è anche un film un po' troppo breve per approfondire tutti i temi che tocca, quindi ho pensato di poterlo fare io in questo remake. E poi, se il concetto di remake può andar bene per un regista come Martin Scorsese, sicuramente va bene anche per me. Le questioni che volevo indagare sono molte, come la natura del credere in qualcuno, e ciò a cui può spingere l'amore. Sono domande che continuo a pormi. Un film, per me, ha sempre due aspetti fondamentali: quello di intrattenimento e quello di riflessione.
E' un elemento fondamentale, su cui pure mi sono posto delle domande. Mi sono interrogato sul costo che si paga per l'amore, e ho concluso che la risposta sta sempre nel dare più di ciò che si riceve. E' una regola che vale anche in molti altri campi, ad esempio in quello degli affari, ma anche nel nostro: molti di quelli che hanno avuto successo all'inizio della loro carriera, hanno dato più di ciò che hanno ricevuto. Hanno accettato condizioni di lavoro difficili, magari hanno lavorato anche gratis. Si fallisce, invece, quando si crede di meritare di più di quanto si riceve: è il potere dell'ego, che ha distrutto molte carriere.
E' vero che, già mentre scriveva la sceneggiatura, pensava a Russell Crowe come protagonista?
No, questo non è vero. In realtà non penso mai a un attore durante la stesura dello script, penso che questo sarebbe un pessimo servizio nei confronti dell'attore stesso: significherebbe scrivere un personaggio in funzione di ciò che un attore ha fatto in passato. No, io comincio a pensare agli attori subito dopo aver finito la sceneggiatura: e, in questo caso, ho pensato subito che Russell Crowe fosse l'interprete più adatto.
Lei, come regista, ha fatto scelte spesso sorprendenti, con film molto densi, ricchi di sfaccettature. Nel raccontare tante storie diverse, qual è la sfida?
Alla fine è sempre la stessa: trovare una bella storia e raccontarla bene. Questo a volte è facile, a volte no. Io combatto sempre con lo script, mi ci è voluto un anno per scrivere quello di questo film, un anno e mezzo per quello di Million Dollar Baby: sbaglio spesso, e riscrivo più e più volte. Non si deve mai essere soddisfatti di quello che si fa, ma neanche troppo cinici nei confronti del proprio lavoro. E inoltre, un altro aspetto importante è prendere sempre seriamente il proprio lavoro, ma mai troppo seriamente sé stessi.
Sì, tanti. In film come Crash e Nella valle di Elah parlo proprio del peccato dell'orgoglio, che a mio parere è il peggiore dei sette vizi capitali: da quello discendono tutti gli altri. Anch'io sono orgoglioso, e per questo devo costantemente ricordare a me stesso che non sono migliore di altri solo perché qualcuno me lo dice: riportarsi con i piedi per terra non è facile. Lo scontro è tra la falsa modestia e la modestia reale, che equivale all'umiltà. Io faccio sempre lo sforzo di giudicarmi in modo obiettivo, senza esaltare né svalutare quello che faccio.
Questo è anche il nuovo film della sua casa di produzione. E' impossibile, quindi, lavorare con le major?
Il punto è che le decisioni finanziarie sono anche decisioni creative, e viceversa. Per me, quando si fa un film, è importante assumersene tutte le responsabilità. Se hai a disposizione 4 giorni di riprese, e in 3 di questi piove, tu devi fare in modo di portare lo stesso a termine il tuo lavoro: i soldi, il produttore ce li ha messi lo stesso. E' importante assumersi sempre le proprie responsabilità, non scaricare le colpe dei problemi su altri: fare sempre del proprio meglio perché il film riesca. E' in quest'ottica che ho creato una mia casa di produzione.
Ha appena parlato delle varie riscritture dei suoi script, a seguito di quelli che ritiene essere degli errori. Lei è un buon giudice di sé stesso e delle sue sceneggiature? Ha anche altri "giudici"?
Diciamo che la mia migliore giudice è mia moglie. Anche se ci siamo separati un anno fa, continuo a fidarmi molto di lei: non sempre ha ragione, ma il suo giudizio comunque vale molto per me. Ad esempio, quando ha letto lo script di Million Dollar Baby non mi ha rivolto la parola per due giorni, perché il finale proprio non le piaceva. La sceneggiatura di questo film l'ho fatta leggere anche a un mio vecchio amico, un critico, di cui mi fido molto: ha detto subito che gli è piaciuta, e poiché io lo rispetto molto come critico, ho subito pensato potesse andar bene.
Io cerco di non ispirarmi a nessuno, ma fatalmente poi delle influenze vengono fuori. Mentre scrivo, "vedo" il film come se già ci fosse, ma quando poi modifico quello che ho scritto, o faccio una nuova stesura, lo stesso film immaginato cambia completamente.
Cosa può dirci del suo prossimo film? Anche lì ci sarà il tema forte del dilemma morale, presente in molte sue opere?
Preferisco non anticiparvi molto sulla trama, però posso dirvi che il titolo sarà Third Person e che si comporrà di tre storie d'amore, tra loro intrecciate.
Il film è un dramma a più strati. Come l'ha vissuto dal punto di vista personale?
Ho trasferito le mie questioni personali, quelle che da sempre mi assillano, nel film. La vita è molto complicata, spesso siamo sicuri al 100% di avere ragione, ma in realtà abbiamo torto. Ci giustifichiamo in continuazione perché è la cosa più facile, ma io mi interrogo sempre se la posizione che assumiamo è onesta o ha semplicemente lo scopo di farci sentire migliori, superiori.
Io non mi sono mai tirato indietro nel dire ciò che pensavo, ai tempi di Nella valle di Elah avevo molto da dire sull'amministrazione Bush, e inoltre non ho avuto paura a criticare Obama, appena si è insediato, perché non ha voluto chiudere il carcere di Guantanamo. Tuttavia, della questione libica devo dire di non saperne abbastanza, e quindi non posso dare un giudizio che non sia estremamente generico. Sono due però i punti che ci tengo a sottolineare: il primo è che chi lotta per la propria libertà va sempre supportato; il secondo è che facciamo troppo facilmente ricorso alla violenza, che al contrario dovrebbe essere l'ultima soluzione. La pace richiede collaborazione col nemico per farlo diventare amico, noi invece ci creiamo i nemici, per poi attaccarli.
Prima ha parlato del concetto di "dare più di ciò che si riceve". Secondo lei Russell Crowe è un attore ancora disposto a fare questo?
Sì, assolutamente. E' un attore che dà molto, un artista generoso. Ha una cattiva fama, caratterialmente molti ne parlano male, ma secondo me è una fama immeritata: è un attore molto propositivo, oltre che professionale. E' stato un piacere lavorare con lui.