Il film più atteso del Festival di Torino 2010 è quello che chiude la kermesse sabauda, l'ultima opera di quel grande maestro del cinema americano che è Clint Eastwood. Un uomo che a ottant'anni suonati, non smette di stupire il pubblico con storie sempre diverse, come Hereafter. La nuova fatica dell'autore di San Francisco è un'opera toccante che affronta il tema dell'aldilà attraverso le vicende di tre personaggi: George Lonegan, un operaio che ha il dono di comunicare con i defunti, Marie Lelaye, una giornalista francese sopravvissuta allo tsunami in Indonesia e protagonista di un'esperienza di pre morte e Marcus, un ragazzino londinese che ha da poco perso il fratello in un incidente. A presentare la pellicola, fiore all'occhiello del programma fuori concorso del TFF, ci hanno pensato oggi Cécile De France e Thierry Neuvic, che compongono il cast assieme al protagonista, Matt Damon, Frankie McLaren e Bryce Dallas Howard.
Abbiamo quasi timore a chiedervelo, ma vorremmo sapere com'è stato lavorare con Clint Eastwood...
Therry Neuvic: Posso solo confermare ogni singola parola di Cécile. Aggiungo solo un dettaglio e cioè che ho incontrato Eastwood solo cinque minuti prima di iniziare le riprese. In genere, quando arrivi su un set per la prima volta, cominci a tempestare di domande il regista, per sapere cosa devi fare, quale intenzione bisogna dare in una scena. Ed è quello che ho fatto anche io. Il punto è che lui mi ha risposto, "E' il tuo lavoro, non il mio". Credo che Cécile intendesse dire proprio questo quando parlava di dare fiducia agli attori. E' questo atteggiamento che rende l'ambiente produttivo, portandoti alla perfezione.
Avete mai discusso sul set del tema del film? Non è proprio il più semplice degli argomenti... Cécile De France: No, non ne abbiamo mai parlato e non ci sono mai state discussioni semplicemente perché Clint pensa che ognuno possa avere le sue opinioni. E sono sicura che se lui fosse stato qui, davanti a voi, non avreste osato chiedergli niente. Dopo tutto, è sempre Clint Eastwood.
Cécile, è stato difficile girare la scena dello tsunami? Cécile De France: Sì e no. In realtà ci siamo attenuti scrupolosamente alla sceneggiatura e abbiamo fatto tutto in maniera semplice. Sono stati poi i responsabili degli effetti speciali a fare il resto, anche se ci tengo a sottolineare che il 90% delle scene le abbiamo girate in prima persona e senza controfigure. La sequenza in cui emergo dall'acqua, l'abbiamo girato negli studi di Pinewood, a Londra, in un serbatoio di cemento, con un green screen alle spalle. La scena in cui io sono assieme alla bambina che mi scappa di mano, l'abbiamo invece girata alle Hawaii. Lì siamo stati in mezzo alle onde vere che ci inghiottivano. Eravamo solo circondate da un gruppo di operatori. Ricordo perfettamente che Eastwood vedeva la scena da lontano, con uno sguardo afflitto. Non poteva comunicare con noi in nessuna maniera. Chiaramente, poi, si è messo il costume da bagno ed è entrato nell'acqua con noi per non starci lontani. Un momento davvero incredibile.
Qualche critico negli Stati Uniti ha accomunato Hereafter a certi lavori di Claude Lelouch, per la capacità di intrecciare le storie dei diversi personaggi. E' una giusta osservazione?
Come definireste il film? Qual è il tema predominante?
Cécile De France: E' difficile dare un giudizio obiettivo di un film che hai fatto, non riesco ad essere una spettatrice imparziale. Quando l'ho visto finito sono rimasta colpita dal modo in cui Eastwood ha descritto la solitudine. All'inizio non me n'ero proprio accorta. E sono contenta che ci sia stato un cambiamento al finale, un gesto di speranza che solo uno che è anche un grande attore, come Clint, poteva trovare.
Thierry Neuvic: Sì, la solitudine è un tema centrale ed è legata a doppio filo con il lutto. Per noi occidentali la morte è un tabù anche se si è credenti, la temiamo. Qui non si fa una teoria sulla morte, ma si racconta il tentativo umano di scendere a patti con essa, magari amando di più la vita.
Cécile ti sei documentata sulle cosiddette esperienze di pre morte e sul mondo del giornalismo? Cécile De France: Certo che sì, è la parte più bella del mio mestiere quella di poter scandagliare la vita di un personaggio. Ho letto tutto quello che potevo leggere sull'argomento. Ho scambiato qualche parola con persone che hanno vissuto questa esperienza, e che hanno una paura terribile di esprimersi, perché temono di non essere creduti; poi ho parlato con i medici che, fedeli alla logica cartesiana, hanno confutato questo tipo di discorsi. Posso solo dire che la morte non mi fa paura perché la considero una parte della vita. Del resto il destino con me è stato molto generoso, non ho paura di invecchiare, non ostacolo il tempo che passa. Quello che volevo capire, però, erano i limiti della coscienza dell'essere umano ed è importante farlo per vivere a fondo il presente. Quanto al lavoro giornalistico, mi sono limitata a vedere un sacco di programmi televisivi per capire come parlano e come si muovono le conduttrici e mi sono divertita. Quello che mi ha entusiasmato del mio personaggio è che è una giornalista che approfitta della fama per fare cose buone; utilizza la sua popolarità per condividere con il mondo la sua esperienza. E' questa la parte bella del vostro mestiere.
Thierry, il tuo personaggio, invece, ha sulla morte un pensiero molto netto, ovvero, dopo non c'è più nulla...
Avete trovato delle differenze nel modo di recitare dei vostri colleghi americani?
Cécile De France: In realtà ho girato con Matt Damon solo per due giorni e tanto mi è bastato per capire che è bravissimo. Riesce ad essere intenso da subito. Poi, quando le luci del set si spengono scopri anche che una persona normale, molto scherzosa e protettiva. Detto questo, non credo che la nazionalità conti, quando fai l'attore. Ci possono essere diversi metodi di lavoro. Ad esempio, io non sono una che ama soffrire per riuscire ad interpretare un personaggio dolente, ma non critico certo chi lo fa.
Thierry Neuvic: Io ho lavorato solo con Cécile e mi è andata benissimo. Quanto ai colleghi americani, l'impressione che danno è che arrivino sul set talmente preparati da essere loro a dare indicazioni al regista.