Ballare e/o vivere
Che cos'è per te la danza? E' questa la domanda con cui Luke incalza, telecamera alla mano, i membri della sua crew. E' libertà, è il mio modo di essere me stesso, è un'energia che sento dentro e non posso fare a meno di esprimere, sono le risposte. Ballare come affermazione della propria identità, come riscatto interiore è sempre stata la filosofia della serie Step Up, riconfermata in questo terzo episodio in cui fa il suo esordio, pur accompagnata da molte perplessità, la tecnologia stereoscopica.
Altra novità è anche la scelta di uno dei protagonisti, la matricola Muso (già presente in Step Up 2 - La strada per il successo), ipercinetico ragazzino smilzo, tutto capelli, lontanissimo dallo stereotipo del belloccio un po' ribelle che dai tempi de La febbre del sabato sera è eroe d'elezione delle piste da ballo. Muso, iscritto a ingegneria per non deludere le aspettative dei suoi genitori (ma anche un po' per se stesso, visto che con l'elettronica ci sa fare), trova nell'incontro casuale con Luke l'occasione di riscoprire la sua passione di sempre: Luke è infatti proprietario di una discoteca nonché capo di una crew, e non di una crew qualsiasi. I membri dei Pirati, questo il nome del gruppo, condividono lo stesso tetto e si considerano a tutti gli effetti una famiglia, chi perché di famiglie non ne ha più una, come lo stesso Luke, chi perché si è visto chiudere la porta in faccia dalla propria per aver voluto inseguire una passione non consona. I problemi reali però si affacciano anche su questo scenario idilliaco: sullo stabile pesa un'ipoteca che, se non verrà sanata, lascerà tutti senza casa. L'unico modo per risolvere il problema è vincere il World Jam, un'agguerritissima
Quello che il pubblico potrebbe aspettarsi da Step Up 3D c'è tutto: coreografie spettacolari, invidie e competizioni scorrette, una storia d'amore tormentata. A garantire un minimo di innovazione è solo la figura di Muso, non tanto per le sue peculiarità fisiche, che lo fanno comunque spiccare per simpatia sugli altri, quanto per il suo approccio con la danza. Se per tutti gli altri il ballo è una sorta di alternativa alla vita reale, un universo privato in cui rifugiarsi ed essere, solo lì, realmente se stessi, per Muso è una delle tante declinazioni con cui esprime il proprio entusiasmo e il proprio ottimismo. Muso, anche se con qualche difficoltà e commettendo errori, capirà che la voglia di ballare non è in competizione con tutto il resto, non è l'unico grande sogno a cui aspirare, e sarà questa sua apertura mentale a far crescere anche tutto il resto del gruppo.
Nonostante questi spunti interessanti, la sceneggiatura non è sempre attenta nel metterli in risalto, così come non sempre convince la gestione dell'intreccio, che spesso risolve frettolosamente, o non risolve affatto, problematiche a cui era stato dato un peso notevole. Una conseguenza, questa, del dover ritagliare un vasto spazio per le sequenze di ballo che, sebbene siano uno dei punti chiave della pellicola, non possono prescindere da un impianto narrativo di una certa solidità. L'impressione è che, volendo puntare a tutti i costi sulla spettacolarità delle parti coreografiche, a tutto il resto sia stata dedicata un'attenzione molto più superficiale, che ha come prima vittima i dialoghi, appesantiti dalle solite formule altisonanti e privi di quella freschezza e spontaneità che i personaggi sembravano richiedere.
Proseguendo la tradizione dei suoi predecessori, questo terzo episodio del franchise si concentra fin troppo sull'elemento coreografico, con il quale comunque riesce ad esprimersi anche con una certa personalità. Inspiegabile è però la scelta di utilizzare la stereoscopia, che lungi dal togliere o aggiungere alcunché all'impatto visivo delle sequenze di ballo, sembra quasi dare una facile scappatoia alla regia per non porre la cura adeguata nella scelta delle inquadrature, il cui dinamismo è affidato quasi esclusivamente all'uso della tridimensionalità. E' innegabile che Jon Chu, rispetto alla precedente pellicola, abbia posto una maggiore attenzione alla caratterizzazione dei personaggi e alla loro originalità, pur non cogliendo del tutto l'obiettivo, e, che se la street dance vi appassiona, Step Up 3D possa rappresentare un'esperienza visivamente godibile, ma per la quale non vale la pena ricorrere alla terza dimensione.