Recensione Prince of Persia: Le sabbie del tempo (2010)

Il film si avvale soprattutto del physique du rôle e della simpatia di Jake Gyllenhaal, per portare sullo schermo, con una buona resa visiva, una celeberrima serie di videogiochi.

Avventure senza tempo dai pixel alla celluloide

E' sempre stata una storia travagliata, quella dei videogame portati al cinema. Tra pedisseque riproposizioni, caratteristiche dei diversi medium non tenute in considerazione, e soprattutto un pregiudizio (duro a morire, ma già superato dalla storia) per cui "se è nato come gioco, allora tanto vale che me ne infischio della trama e punto tutto sull'aspetto visivo", sono ben pochi i risultati soddisfacenti che questo connubio ha generato negli anni. Forse solo l'horror Silent Hill, portato sullo schermo da un sincero appassionato della versione videoludica come Christophe Gans, ha rappresentato un episodio che, lungi dal potersi dire un capolavoro, era riuscito ad adattare in modo convincente le atmosfere originali al mezzo cinematografico. Proprio per questo era naturale la curiosità per questo Prince of Persia: le sabbie del tempo, non solo perché il modello è una saga ormai entrata nel cuore di milioni di videogiocatori, ma perché la dimensione da kolossal unita alla presenza di un regista come Mike Newell e a un cast di primo piano giustificavano un qualche ottimismo nelle previsioni. In più, il produttore Jerry Bruckheimer ha cercato in qualche modo di bissare il successo della fortunata saga inaugurata da La maledizione della prima luna, con un nuovo personaggio volto a incarnare l'archetipo dell'eroe temerario e un po' anarchico, per un possibile nuovo franchise di successo.

E' bene dire subito che il film non rappresenta l'esempio migliore di videogioco portato al cinema finora realizzato, e che la su citata saga con Johnny Depp risulta, qualitativamente parlando, lontana. Per quanto la sceneggiatura sia scritta discretamente bene, e un interprete come Jake Gyllenhaal dimostri, oltre che un _physique du rôle _ notevole, anche buone doti autoironiche, la regia di Newell risulta spesso ridondante, a volte confusa nella gestione delle scene d'azione, mancante comunque di quella "leggerezza" che sarebbe stata auspicabile per la riuscita di un'operazione del genere. Gli archetipi del film d'avventura venato di esotismo ci sono tutti (compresa la coppia di personaggi dal carattere apparentemente inconciliabile, ma destinati a vivere un'incredibile avventura insieme), così come il fascino fiabesco e ingenuo del genere, aiutato dall'espediente della voce fuori campo. Non ci si aspettava grandi finezze di script da un film come questo, e infatti quello che troviamo sono personaggi definiti tanto quanto basta, una storia di eroi poveri che diventano principi, legami familiari e tradimento, nobili infidi che non meritano questo appellativo, oggetti magici che non devono cadere nelle mani sbagliate. Il problema è che, nel momento in cui Newell sembra dimenticare il suo target con trovate di regia discutibili (la reiterata apparizione dei nemici che si stagliano fuoriuscendo dalla nebbia è un espediente mutuato dal cinema di Akira Kurosawa, ma qui del tutto fuori luogo), ipertrofizza le sequenze d'azione rendendole difficilmente leggibili, e dilata il tutto in modo eccessivo (oltre due ore di durata), lo spettacolo e la sua scorrevolezza non possono non risentirne.
Nonostante tutto, le scenografie mostrano bene lo sfarzo produttivo che caratterizza il film, unite a una fotografia che ricrea egregiamente quell'atmosfera "da mille e una notte" che la storia vuole evocare. Un po' di perplessità per alcuni effetti digitali (su tutti quello delle conseguenze dell'uso della "sabbia del tempo") che potevano certo essere meglio realizzati, visto anche il budget a disposizione, non inficia l'impatto visivo del film, comunque complessivamente buono. Un po' meno bene si può dire della performance di Gemma Arterton, principessa svogliata e fuori ruolo, con un perenne broncio da ragazzina viziata che non rende granché simpatico il personaggio; dell'efficacia e simpatia di Gyllenhaal abbiamo già parlato, mentre non va dimenticato un veterano come Ben Kingsley, che sembra sempre divertirsi non poco in ruoli disimpegnati come quello qui offertogli.
Un intelligente finale, sorprendente nei suoi sviluppi, non apre né chiude del tutto la porta a un possibile sequel: tutto dipenderà, ovviamente, dagli incassi di questo prototipo, che nonostante tutto probabilmente riuscirà a soddisfare i tanti fans della saga videoludica originale. E magari, la prossima volta, si potrà mettere alla cabina di regia qualcuno che non sia Newell, cineasta probabilmente più a suo agio in diversi contesti produttivi.

Movieplayer.it

3.0/5