L'amore ai tempi di Moccia
Da sempre, quello dell'adolescenza è riconosciuto come il periodo più problematico nella vita di un essere umano. Per colpa di amori non ricambiati, brufoli resistenti ad ogni tipo di crema, forme anatomiche che cambiano inesplicabilmente da un giorno all'altro rendendo obsoleto il guardaroba e un inevitabile quanto traumatico distacco dal bel mondo infantile. E in queste fasi tanto delicate gli adulti sono tutt'altro che di aiuto: quando non sono troppo sordi e ciechi ai giovani drammi, si cimentano in imbarazzanti tentativi di educazione sessuale e/o sentimentale, con l'unico risultato di lasciare i figli sempre più soli e confusi. Qualcuno sostiene che l'aver dato un nome alle cose è l'atto più grande e significativo della specie umana, perché senza una definizione le cose non avrebbero forma e senso, e i così i sentimenti, senza qualcuno che li racconti, non avrebbero voce e dignità: evidentemente è dal bisogno degli adolescenti di essere capiti e narrati che nasce il successo di Federico Moccia, ormai assurto a interprete di una generazione che non è la sua ma che sembra conoscere alla perfezione, o che forse è più ansiosa che mai di calzare all'immagine che l'autore romano ne ha dato.
Dalla carta stampata alla celluloide il passo è stato breve anche per Amore 14, del quale lo scrittore firma anche la regia e che riproporrà sul grande schermo la cronaca dell'ultimo anno di Carolina (detta Caro) alle scuole medie: un anno denso di avvenimenti, tra i quali molti piacevoli, ma altrettanti tristi e dolorosi.
Caro può contare sulla solida amicizia di Alis, la bella e spigliata riccona della scuola, e Clod, una rotondetta ingenua e sognatrice, con le quali condivide pettegolezzi sui ragazzi e sessioni di shopping. Ma anche sul fratello Rusty James, aspirante scrittore ma studente di medicina per volontà paterna: sarà proprio la lite furibonda tra i due, che allontanerà il giovane da casa, ad offrire a Caro un primo assaggio dei dispiaceri dell'età adulta. E il pomeriggio indimenticabile passato con Massi non servirà a consolarla: il furto del suo cellulare le impedirà infatti di contattarlo nuovamente, e la ragazza si dedicherà quindi con impegno a mettere in pratica il collaudato metodo del "chiodo scaccia chiodo", imbastendo relazioni con i soggetti più improbabili, e quindi prevedibilmente destinate a naufragare. Ma solo per lasciare il posto ad un secondo, quanto fortuito, incontro con Massi: questa volta la felicità sembra garantita, ma nemmeno a quattordici anni si è immuni dalle insidie del tradimento. E' proprio questo elemento dissonante, il mancato lieto fine, a infondere alla storia un momento di intensità, distaccandola dall'atmosfera edulcorata e un po' sognante, nonostante i visibili, e volenterosi, tentativi di attenersi alla verosimiglianza con la realtà. La vita di Carolina, pur con i suoi momenti più cupi, è ancora troppo perfetta, e chi lamentava a Moccia di aver descritto, in Tre metri sopra il cielo, una gioventù troppo patinata, troverà qui spazio per lo stesso appunto, sebbene in misura meno evidente: è impossibile trovare una ragazza bruttina, come è impossibile che due amiche litighino, o che a una di loro non venga regalato il motorino nel giorno del quattordicesimo compleanno. I problemi di Caro, Alis e Clod, che, un po' per la loro relativa portata, un po' per il carattere forse troppo maturo e delineato delle protagoniste, non sono mai effettivamente problemi, non sono in realtà i problemi di tutti, e per un autore che si ispira dichiaratamente a Il giovane Holden un simile excursus sulle inquietudini giovanili appare forse troppo semplicistico. Quello che manca non è la volontà di andare in profondità, di comprendere l'età dell'adolescenza attraverso i suoi stessi mezzi: i cellulari sempre intenti a filmare il presunto avvenimento, i pc su cui imperversano Msn e YouTube. L'impressione è che, volendo rispondere a un'esigenza di cui nessuno si era ancora reso conto, quella, per i più giovani, di ribellarsi al loro ruolo di esseri di passaggio, né carne né pesce, lasciati a se stessi finché non siano diventati più logici, più malleabili, Amore 14 abbia forse ceduto alla tentazione di spersonalizzarli un po': non tutti sono la bella Carolina, come non tutti sono Biancaneve o Raperonzolo, principesse con qualche disavventura, ma pur sempre principesse. Cosa che non renderà affatto meno apprezzabile la pellicola al suo target, che anzi probabilmente storcerà il naso di fronte all'amaro finale. Per riscoprirlo, forse, dopo qualche anno, una volta capito che nemmeno le delusioni e la sofferenza meritano di essere rinnegate, ed anche quelle possono servire a qualcosa, se guardate con l'onestà con cui sono guardate qui.