Neonazisti redenti per amore
L'amore gay fa stranamente ancora scandalo in un festival cinematografico. Ma a fare davvero scandalo non è a nostro avviso l'amore che nasce tra due uomini facenti parte di una cellula neonazista danese, quanto l'assurdità della situazione in cui i due protagonisti si ritrovano, carnefici e vittime delle stesse inumane e ideologie nate ai tempi di Hitler e ancor oggi purtroppo radicate in tutta Europa. Focolai di razzismo e intolleranza alimentati dal vento della globalizzazione e dall'apertura delle frontiere, coadiuvati dalla stupidità dilagante di gruppi organizzati che si professano cultori della razza pura occidentale e perseguono l'obiettivo vessando, picchiando e umiliando chiunque sia 'diverso'.
Dopo film in costume, drammi storici, commedie e storie familiari, a Roma 2009 si torna bruscamente nella drammatica attualità con Brotherhood, splendido film danese diretto con personalità, rara sensibilità, decisione ed una sorprendente delicatezza dal trentacinquenne Nicolo Donato, regista nato a Copenaghen (ma di chiare origini italiane) che narra la nascita di un grande amore tra due uomini 'allevati' a fare i duri ma che ad un certo punto della loro vita non possono più fare a meno di liberarsi dalla loro maschera e lasciarsi andare ai sentimenti. E' la storia di un amore pericoloso e incontrollabile, quello che nasce tra Lars, ex-sergente dell'esercito ribelle e anticonformista, e Jimmy, iscritto da tempo ad un movimento neonazista che mira alla purificazione della Danimarca da ebrei, neri e 'froci'. Il corpo di Jimmy è ricamato indelebilmente da simboli che inneggiano al Terzo Reich, una sorta di memento filo-nazista che ogni giorno gli ricorda le battute del copione da recitare, mentre Lars se ne frega di tutto e tutti, ed è pronto a sfidare i pregiudizi della sua famiglia e dai capigruppo che lo hanno accolto a braccia aperte come membro di serie A. Vorrebbero poter scegliere di ignorare quel che provano e continuare a seguire le nozioni e i dogmi del 'branco' ma non si può resistere di fronte alle emozioni. Quando il sentimento è così travolgente da far star male non c'è paura che tenga, non c'è frontiera che possa impedirlo, non c'è regola o razzismo che possa ostacolarlo.La forza di Brotherhood è tutta nei contrasti, quello di toni e di situazioni. La crudezza nelle scene dei pestaggi e nei discorsi tra i soci del gruppo cozza in maniera prepotente con la poesia delle scene di seduzione e di dolcezza tra i due protagonisti, volti e sguardi intrisi di odio e violenza grondanti di sofferenza ma mai di vergogna che sanno apparire spigolosi e lividi in alcuni momenti e completamente trasformati, illuminati dai colori caldi della passione nelle scene d'amore girate da Donato con un'eleganza e una aggraziata voluttà degne dei migliori Gus van Sant e Lars von Trier, quest'ultimo responsabile in parte del film in quanto 'formatore' dell'esordiente Donato presso la Zentropa, casa di produzione fondata dal regista di Dogville nel 1992 insieme al produttore Peter Jensen.
Straordinari i due attori Thure Lindhardt e David Dencik, coinvolgenti e commoventi, eccezionali nel conferire ai loro personaggi un realismo e un'umanità che toccano le corde giuste e arrivano dritti al cuore dello spettatore, totalmente inerme sotto i colpi di una storia d'amore che graffia l'anima e lascia l'amaro in bocca.Cinema verità nudo e crudo, metafora agghiacciante che evidenzia, mettendola in ridicolo, la violenza cieca di chi non pensa ma agisce per inerzia, mosso unicamente da becere ideologie che predicano il ritorno alla razza pura, bianca, che mirano a debellare qualsiasi focolaio di diversità e di innaturalità. Un barlume di speranza si intravede nel finale e questo è già un segno positivo. Certo è che non basterà un film a smuovere le coscienze e probabilmente Brotherhood non verrà mai neanche distribuito in Italia, ma sarebbe importante in questo momento di omofobia dilagante dare un segnale forte e consegnare a questo bellissimo film un premio importante.
Movieplayer.it
4.0/5