2006: l'odissea di Miike
Takashi Miike, piaccia o no, è il regista piu visionario che il cinema contemporaneo possa annoverare. Un uomo in grado di trasformare la sostanza cinematografica in un universo di straordinaria esclusività. Nonostante la nota prolificità del suo lavoro, il regista giapponese continua difatti a sorprendere per l'enorme mole di creatività prodotta dal suo cinema. Da una parte, Miike è autore in senso assoluto, per la forza e la coerenza con la quale impone il suo sguardo in ogni tipo di progetto a cui aderisce e allo stesso tempo è una macchina da cinema dalla consapevolezza totale. A fare da collante, la visionarietà di cui prima; troppo spesso sottovalutata anche dai suoi più fedeli appassionati a causa dall'alone cool di cui il personaggio Miike è stato investito nel corso del tempo.
All'interno del suo cinema c'è una traccia sublime ed irrisolta, un filo in cui è possibile riconoscere il suo sguardo al minimo livello di mediazione e compromesso. Da Dead or Alive a Gozu, da Ichi the Killer a Izo, Miike punta alla scardinazione sistematica delle regole del racconto tradizionale, costruendo un cinema di pura libertà; il luogo dove esaltare l'inventività e l'antagonismo formale. In questo senso Big Bang Love, Juvenile A, appena visto qui a Berlino, rappresenta quasi un punto di approdo e allo stesso tempo un potenziale nuovo inizio per l'autore Miike. Il suo film più teorico, probabilmente.
Descrivere Big Bang Love, Juvenile A con una metodologia critica universale è quindi esercizio francamente inutile. Spiazzante ed affascinante come solo il miglior cinema sa essere, il film è un iperbolico giallo dalla (non) struttura circolare che racchiude tutto il cinema di Miike, la sua voglia di superarsi e di sorpendere, ma esaltandone l'aspetto meditativo quanto mai in precedenza.
Non a caso questo gioello assoluto, girato con due lire ma con una lucidità invidiabile, rinuncia a qualasiasi delirio gratuito e si presenta come il piu riflessivo, asciutto e flilosofico dei suoi film. Cinema etico verrebbe e sarebbe da dire.
Chiedersi dove voglia arrivare, quale tipo di riflessione ontologica lo guidi o il significato specifico di una sequenza, di fatto significa rinunciare a comprendere la portata del suo lavoro, svenderne la sua specificità. Se volete spiegazioni, statene lontani, ora e per sempre. Miike proceda in una maniera estranea al resto dei cineasti, riuscendo nel miracolo di non trasformare mai in maniera la particolarità del suo vedere. Il suo cinema è invenzione e astrazione, ma soprattutto liberta assoluta dalla grammatica e dalla drammaturgia convenzionali. Tutto questo fino a quando le piramidi rimangono sullo sfondo, una farfalla muore e l'astronave prende la via degli altri mondi. Intanto il tempo scorre.