011-9998-6644: il numero dell'oltretomba
Tre anni fa usciva in Corea questo horror sulla ideale falsariga di Ringu, diretto da Ahn Byung-Ki (già regista di un altro horror intitolato Nightmare) e sostenuto da un notevole budget per il paese asiatico: 3 milioni abbondanti di euro.
La storia non è tra le più originali: la giornalista Ji Won (interpretata da Ha Ji-won, già protagonista del precedente Nightmare), è ossessionata da continue minacce telefoniche, probabilmente dovute ad una sua scottante inchiesta nel mondo della pedofilia. Stanca della situazione si ritira nella casa di una cara amica e cambia numero di cellulare. Curiosamente c'è un solo numero disponibile, un numero maledetto; da allora in poi tutti quelli che rispondono al telefono al posto suo si comportano in modo sempre più strano, specie l'inquietante bambina Young-ju che diventa molto gelosa di suo padre e compie gesti aggressivi ed inspiegabili generando profonde crisi nel rapporto di coppia. Indagando sugli strani misteri legati al numero Ji Won si troverà di fronte a scottanti verità tinte di mostruoso.
In ogni modo fu un gran successo di pubblico ad ennesima testimonianza dell'interesse trasversale per le tematiche orrorifiche, in particolari per quelle soprannaturali, che dall'uscita de Il sesto senso, hanno preso il sopravvento rispetto alla deriva più sanguinaria e giocosa del genere, imponendo anche una nuova grammatica ed alcuni topos narrativi probabilmente ormai piuttosto limitanti ed abusati; su tutti la presenza di un bambino/a in contatto con le anime disperate in cerca di pace o di giustizia. Se avrà successo anche dalle nostre parti è difficile dirlo; di certo incuriosisce la scelta di farlo uscire a così tanto tempo dalla sua realizzazione e in un momento in cui le quote del genere sono un pò in ribasso.
La prima cosa che comunque salta agli occhi, durante la visione di Phone è che a dispetto di quanto si possa immaginare, il film è curiosamente (o forse non curiosamente visto che è finanziato e distribuito dalla Buena Vista Korea) affine per situazioni, confezione e strutturazione all'horror americano più che a quello orientale, le cui peculiarità più pregnanti (le atmosfere rarefatte ed intriganti, l'eleganza visiva e la linearità della narrazione) sono al massimo citate o inserite nel plot sotto forma di suggestione visiva, o di vocabolario interiorizzato.
Succede quindi che a volte ci pare di vedere un'immagine che ricordi Dark Water, un'altra che ci riporta a Ju-on: Rancore per citare solo alcuni titoli, ma sostanzialmente sembra di vedere la variante per cellulare di The Ring, più che del suo antesignano Ringu. Una narrazione per salti temporali quindi, alcune trovate ad effetto (spesso di scarso valore diegetico) e molti, troppi balzi gratuiti sulla poltrona.
Non è comunque in discussione questa scelta, quanto la qualità generale del prodotto che è francamente mediocre: il plot è scontato e sovente risibile, la scrittura complessiva del film e dei personaggi è molto deficitaria e la regia di Ahn Byun-ki si barcamena in modo ripetitivo tra improvvise apparizioni, grida, atmosfere tese, alternando qualche rara situazione azzeccata ad alcuni momenti (se non ad intere sequenze) discutibili, quanto francamente noiosi. Probabilmente in Corea il film è riuscito nel suo intento di spaventare. Sinceramente, a far paura è forse solo lo sguardo allucinato della bambina a cui comunque ben presto ci si abitua, oltre forse la prospettiva che il tutto duri più una partita di calcio.