Steven Spielberg e la fantascienza: una storia d’amore in 6 film

Un sognatore che costruisce mondi. Questo è Steven Spielberg. E lo fa esplorando tutti i generi possibili. Ma chi è stato un ragazzino negli anni Ottanta identifica Spielberg soprattutto con la fantascienza. Vi raccontiamo lo Spielberg sci-fi in sei film.

Ready Player One: Olivia Cooke in una foto del film
Ready Player One: Olivia Cooke in una foto del film

Quell'"Io di mestiere sogno", che Steven Spielberg dichiarò a Time nel 1985, fa il paio con quel "Sono un sognatore. Costruisco mondi" di James Halliday, il personaggio chiave di Ready Player One, genio dell'informatica che ha creato Oasis, il gioco in realtà virtuale al centro del film. Quel sognatore che costruisce mondi è proprio Spielberg. E lo fa in tutti i generi possibili: l'avventura, il fantastico, la ricostruzione storica, la commedia dal gusto rétro. Ma chi, come Halliday, è stato un ragazzino negli anni Ottanta, identifica Spielberg soprattutto con la fantascienza, genere che gli è piuttosto congeniale (ok: che cos'è che non è congeniale a Spielberg?). È sicuramente merito dell'accoppiata Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. L'Extraterrestre, e della sua presenza (in veste di produttore) in progetti in qualche modo vicini alla sci-fi come Ritorno al futuro. In realtà i film di fantascienza pura di Spielberg, compreso il recente Ready Player One, sono sei. Ve li raccontiamo non in senso cronologico, ma divisi in due filoni. Le storie di alieni (Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T. L'extraterrestre, La guerra dei mondi) e la fantascienza "distopica" (A.I. intelligenza artificiale, Minority Report, Ready Player One), o cosiddetta fantascienza adulta, quella in grado di predirci il futuro e di farci domande.

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1. Incontri ravvicinati del terzo tipo

È lo Spielberg degli anni Settanta (1977), quel cinema americano che ci manca tanto, quel modo di fare cinema che non si fa più. Il primo film di fantascienza di Steven Spielberg è una storia ottimista, intrigante, e anche tenera, per girare la quale rinuncia a Superman. È anche la storia di uno dei tanti incontri di Spielberg con dei grandi Autori: tra gli attori del film, infatti, oltre a Richard Dreyfuss, già protagonista de Lo squalo, ecco François Truffaut, il grande regista francese di cui Spielberg era un grande ammiratore. Incontri ravvicinati del terzo tipo è puro Spielberg: la storia dell'incontro, costruito ad arte, evocato, raggiunto con un perfetto crescendo, è raccontata con innocenza, come una favola, da vari punti di vista tra cui quelli di un bambino di tre anni, irresistibilmente attratto dai segnali degli alieni. Da un lato comincia a farsi largo il discorso di Spielberg sulla famiglia (Jillian, la mamma del bimbo, è una madre single). Dall'altro, Incontri ravvicinati cambia la tendenza del cinema di fantascienza postbellico, dove l'alieno era sempre minaccioso (La guerra dei mondi, Ultimatum alla Terra). Può essere visto come un segno dei tempi, un primissimo auspicio di distensione tra le due superpotenze Usa e Urss, di fine della Guerra Fredda, di non vedere più l'altro come un nemico (e proprio del nemico sovietico gli alieni erano stati al cinema spesso una metafora). Incontri ravvicinati del terzo tipo è a tutti gli effetti un nuovo modo di fare fantascienza, con uno stupore infantile che caratterizzerà tutto il cinema di Spielberg.

Incontri ravvicinati del terzo tipo, una scena del film di Spielberg
Incontri ravvicinati del terzo tipo, una scena del film di Spielberg

È un cinema con una grande confezione (effetti speciali di Douglas Trumbull, creature di Carlo Rambaldi, musica di John Williams) e con momenti entrati nella storia. Da quella montagna sognata, poi ricreata e infine raggiunta (è la Torre del Diavolo, nel Wyoming), all'astronave madre (disegnata e costruita da Ralph McQuarrie e Greg Jein). E poi quelle luci, e quei suoni, quella successione di 5 note usata per comunicare con gli extraterrestri. Che ci dice che per comunicare serve aprirsi, immaginare, usare ogni mezzo. E che è entrata nella storia: è stata usata in un film di James Bond, Agente 007, Moonraker: operazione spazio (i cinque numeri di un codice che Bond usa per entrare in un laboratorio a Venezia), dai Daft Punk per aprire i loro concerti del tour Alive 2007, e dai Duran Duran per introdurre The Chaffeur nella versione live dell'album Arena. Spielberg sarà stato molto contento: ama la musica dei Duran Duran. E in Ready Player One lo dimostra anche, in una scena che ha a che fare con il look vincente...

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2. E.T. L'Extraterrestre

E.T. L'extra-terrestre: Elliott con E.T. in un momento del film
E.T. L'extra-terrestre: Elliott con E.T. in un momento del film

E.T. L'extraterrestre è uno dei film simbolo di Spielberg, quello che, insieme a I predatori dell'arca perduta, ha tracciato una linea, ha fatto entrare il cineasta americano nella Storia del Cinema e nello show business. Siamo nel 1982, in quegli anni Ottanta celebrati e riportati alla ribalta da Ready Player One. E.T. l'extraterrestre continua in qualche modo il discorso di Incontri ravvicinati del terzo tipo: Spielberg lancia ancora oltre quella sua immaginazione da bambino mai del tutto cresciuto. La storia di E.T., come quella di Incontri ravvicinati del terzo tipo, è vista con gli occhi innocenti e inclini alla meraviglia dei bambini. E in quest'ottica anche l'alieno non può che essere amico. Come l'amico immaginario che ogni bimbo solo si crea con la sua fantasia. È una storia autobiografica, e anche la prosecuzione del suo discorso sulla famiglia: i suoi si separarono dopo il tradimento della madre e Steven, negli anni Sessanta, colmò il vuoto creandosi un amico alieno immaginario. Anche qui c'è un padre assente, al lavoro in Messico, e Elliott, nove anni, ha bisogno di un amico. Lo trova in questo piccolo, tarchiato e rugoso esserino proveniente da un altro mondo, con la testa enorme, e il collo e le braccia lunghissime. Dimenticato dai suoi compagni e dall'astronave ripartita all'improvviso, capita per caso nel capanno degli attrezzi della casa di Elliott.

Drew Barrymore in una scena di E.T.
Drew Barrymore in una scena di E.T.

E.T. va oltre Incontri ravvicinati: non solo l'alieno è pacifico e disposto a comunicare, ma diventa un amico. È stato costruito da Carlo Rambaldi (l'idea era quella di una tartaruga senza guscio) in modo che fosse brutto, ma non spaventoso: non carino, perché il messaggio era che si potesse voler bene a qualcuno anche al di là dell'aspetto fisico. Spielberg lancia una giovanissima Drew Barrymore (è Gertie, la sorella di Elliott, e al provino disse al regista di essere alla guida di una band punk...). Anche E.T. resta nell'immaginario collettivo, oltre che per la sua storia unica e commovente, per alcune scene cult, come l'incontro tra Gertie e E.T., la scena in cui viene travestito da fantasma a Halloween, ma, soprattutto, la scena in cui, insieme a Elliott, vola su una bicicletta con un'enorme luna sullo sfondo. Poesia pura, è stata definita de Empire la scena più magica mai realizzata. Ed è ancora oggi il logo della casa di produzione di Spielberg, la Amblin Entertainment: lo abbiamo visto aprire Ready Player One. Ed è ogni volta un'emozione unica. E.T. ha influenzato decine di film e video: ci piace ricordare la prima stagione di Stranger Things, con Undici nascosta nella casa di Finn come E.T. in quella di Elliott...

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3. La guerra dei mondi

Tom Cruise con Dakota Fanning in una scena de La guerra dei mondi
Tom Cruise con Dakota Fanning in una scena de La guerra dei mondi

Sono passati 23 anni da E.T., ed è cambiato il mondo attorno a noi. E allora sono cambiati anche gli alieni. Non sono più quelli aperti al dialogo, né amici in grado di cambiare la nostra vita. Ora ci attaccano: avevano piazzato le loro macchine da guerra sottoterra molto prima che noi venissimo al mondo. Non appena tutto comincia a saltare in aria, la gente si chiede: "Sono i terroristi?". La guerra dei mondi, anno 2005, arriva dopo l'11 settembre 2001 (l'attentato alle Twin Towers) e la guerra in Iraq. La paura ha influenzato il fanciullino Spielberg, che non vede più gli extraterrestri come quelli di E.T. e Incontri ravvicinati, ma invasori senza pietà. D'altra parte La guerra dei mondi era stato scritto da H.G. Wells nel 1898 per criticare il colonialismo britannico ed è sempre stato utilizzato come metafora delle nostre paure: l'invasione nazista nell'adattamento radiofonico di Orson Welles nel 1938, la minaccia sovietica e la bomba atomica nel film di Byron Askin del 1953.

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Dakota Fanning e Tom Cruise in una scena de La guerra dei mondi
Dakota Fanning e Tom Cruise in una scena de La guerra dei mondi

Ma ancora una volta La guerra dei mondi è un film di padri e figli. Il Ray Ferrier di Tom Cruise è un uomo che prende coscienza del suo essere padre, e il pericolo alieno è la molla che gli permette di occuparsi dei figli. Prima era un genitore divorziato, che il figlio maggiore non chiamava nemmeno "papà", ma solo "Ray"; uno che se i figli avevano fame diceva loro di ordinarsi da mangiare; uno che non sapeva nemmeno che la sua bambina fosse allergica al burro d'arachidi. Se E.T. è il film che, grazie al rapporto con gli attori bambini, ha fatto venire a Spielberg la voglia di essere padre, La guerra dei mondi parla dell'istinto paterno, quello di portare al sicuro i propri figli, in una situazione di sopravvivenza.

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4. A.I. intelligenza artificiale

Haley Joel Osment in A.I. Intelligenza artificiale
Haley Joel Osment in A.I. Intelligenza artificiale

La carriera di Spielberg è fatta di incontri: Truffaut, Lucas, Zemeckis sono quelli più noti. A.I. - Intelligenza Artificiale nasce dall'Incontro con la I maiuscola, quello con un artista che, lo vedrete molto bene in Ready Player One, Spielberg ammira incondizionatamente. È Stanley Kubrick. E, grazie a lui, Spielberg entra nella fantascienza più adulta, quella che si pone domande su noi e sul nostro futuro. Si parla di intelligenza artificiale, quella che Kubrick in 2001: Odissea nello spazio ci presentava, per la prima volta, come un pericolo. A.I. -Intelligenza Artificiale, è tratto dal racconto di Brian Aldiss Supertoys Last All Summer Long. Kubrick iniziò a pensare al film nel 1980, ma temporeggiò a lungo in attesa del perfezionamento degli effetti speciali per realizzarlo. La sua scomparsa lasciò tutto in mano al regista di E.T. che, forte delle lunghe discussioni con il maestro ne fece una sua versione, una sorta di rilettura della favola di Pinocchio. Costruito per sostituire affettivamente un figlio ibernato per malattia, David (Haley Joel Osment) viene abbandonato quando il bambino reale guarisce. Con l'aiuto di Gigolo Joe (Jude Law), un automa programmato per il piacere femminile (il Lucignolo della situazione), cercherà di ritrovare la perduta madre adottiva, precipiterà negli abissi di una New York sommersa dalle acque e dovrà aspettare duemila anni per sperare di realizzare il suo sogno. David è un mecha, un essere artificiale, poco più di un giocattolo. Ma, una volta azionata la modalità, comincia a provare dei sentimenti. Ama incondizionatamente. Ma quale bambino, in fondo, non lo fa?

A.I. Intelligenza artificiale: Jude Law e Haley Joel Osment in una scena
A.I. Intelligenza artificiale: Jude Law e Haley Joel Osment in una scena

Immedesimandoci in lui riusciamo a capire il suo turbamento nell'apprendere che non è "vero". Ogni essere umano è unico, diverso da ogni altro per personalità e tratti somatici. Come reagiremmo noi sapendo di non esserlo, di essere il primo di una serie? Piera Detassis scrisse su Ciak della "crudeltà infinita della scena in cui David scopre che in quel laboratorio ai confini del mondo stanno appesi tanti altri David, come in un deposito di pezzi di ricambio, gusci vuoti e tutti uguali, pronti all'uso." David non è unico, non è "vero", non potrà mai esserlo. E questa è una delle tante scene ad effetto. Come quella della New York sommersa, o quella dell'incontro con gli esseri del futuro. O ancora, quella in cui David viene catturato e portato in una "fiera" dove i "mecha" in disuso vengono fatti combattere come gladiatori e poi distrutti in un'arena gremita di umani scatenati che inneggiano alla demolizione dei robot e alla superiorità degli esseri in carne ed ossa.

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5. Minority Report

Tom Cruise e Samantha Morton in una sequenza di Minority Report
Tom Cruise e Samantha Morton in una sequenza di Minority Report

Steven Spielberg incontra finalmente Philip K. Dick, che fece grande Ridley Scott e Blade Runner, ed è strano che non sia successo prima, viste le affinità elettive. Minority Report è ambientato nel 2054, in teoria 9 anni dopo il 2045 di Ready Player One. Ma è un altro universo, un mondo dove la violenza aveva ormai raggiunto ogni limite, e si è deciso di usare la tecnologia, e degli esseri con un dono, per risolvere il problema del crimine. Il John Anderton di Tom Cruise è a capo della sezione pre-crimine: i pre-cog sono delle persone che hanno il dono di vedere nel futuro e di anticipare i crimini. Così la polizia arresta i colpevoli per un delitto che devono ancora compiere. Se l'universo dickiano di Blade Runner era declinato da Scott in una città luminescente di neon, qui è tutto desaturato, con Janusz Kaminski che inonda del suo proverbiale bianco la scena. Ci sono le città verticali e le macchine volanti (su delle rotaie magnetiche) ma, rispetto agli scenari di Blade Runner, qui è tutto molto più levigato e patinato. Cruise, ancora una volta eroe, ma tormentato e addicted, prova ad avvicinarsi all'antieroe dickiano. Non è Deckard, ma ci siamo quasi.

Tom Cruise in una scena di Minority Report (2002)
Tom Cruise in una scena di Minority Report (2002)

La tecnologia è futuristica, ma molto vicina a quella di oggi. Gli schermi su cui Cruise svolge le indagini sembrano quelli che vengono usati per le rassegne stampa in tv, la possibilità di zoomare sembra quella degli smartphone e dei tablet di oggi. E il riconoscimento tramite gli occhi sembra qualcosa di simile alle tecniche di riconoscimento facciale che oggi permettono gli smartphone. Il film uscì alla fine del 2002, cogliendo un segno dei tempi: in molti avvicinarono la pre-crimine alla guerra preventiva dell'America di George W. Bush all'Iraq, le limitazioni alla privacy a quelle della sua politica interna. È ancora attuale anche oggi, nei giorni del dibattito sull'idea di un altro repubblicano, Donald Trump, sulla prevenzione del crimine e le armi.

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6. Ready Player One

Ready Player One: una foto del film diretto da Steven Spielberg
Ready Player One: una foto del film diretto da Steven Spielberg

Siamo nel 2045, giusto 4 anni prima del secondo Blade Runner, e 9 prima di Minority Report, e anche qui le città sono verticali, ma sono fatte di baracche. La gente vive male, ma si accontenta. Tanto può fuggire in Oasis, un gioco in realtà virtuale. È quello che fa ogni giorno Wade Watts (Tye Sheridan), grande appassionato del gioco. Il creatore di OASIS è James Halliday (Mark Rylance), genio dell'informatica che era un ragazzino negli anni Ottanta e che ha infarcito il suo gioco di riferimenti a quell'epoca, alle sue passioni, alla sua vita.
Ready Player One è allo stesso tempo avventura pura, come il miglior Spielberg sa fare, e ancora una matura riflessione su di noi. La realtà virtuale ci farà vedere, e anche sentire, nella versione con la tuta che vediamo nel film, cose che non sono intorno a noi. E allora la tentazione di lasciarsi andare sarebbe forte. "La gente non risolve più i problemi e punta a tirare avanti" ci dice la voce narrante di Wade all'inizio del film. Il pericolo che si perda di vista la realtà, il quotidiano, e si cerchino facili vie d'uscita in mondi virtuali c'è. Ancora una volta, la fantascienza di Spielberg ha fatto centro.