Ottant'anni sono molti, ma dagli occhi di Roman Polanski trapela una vitalità ancora non domata, una forza ancora presente. Ci è capitato di vederli a Cannes quegli occhi, nemmeno tre mesi fa, mentre sfilava davanti a noi per recarsi in sala conferenze, fermandosi a firmare autografi e salutare con l'entusiasmo di un ragazzino, con una voglia di fare e vivere il cinema ancora viva e pulsante.
Ottant'anni sono molti, sì, soprattutto se vissuti come quelli del regista di origini polacche naturalizzato francese, contraddistinti da una sequenza continua di drammi che dalla gioventù lo hanno accompagnato per tutta la sua esistenza: dal ghetto di Cracovia negli anni '30 fino all'arresto del 2009 all'aeroporto di Zurigo, tante tappe di una vita sofferta che non approfondiremo in questa sede, per questo scopo ci sono la biografia di Polanski ed i documentari che la ripercorrono (Roman Polanski: A Film Memoir) o ne approfondiscono un aspetto (Roman Polanski: Wanted and Desired).
Scopo di questo articolo è di cogliere l'occasione del suo ottantesimo compleanno per lasciarsi andare a qualche considerazione su un autore che ha già lasciato la sua impronta indelebile nella relativamente breve storia del cinema e che non sembra avere intenzione di smettere di farlo.
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Pochi autori mantengono una tale energia, coerenza e voglia di stupire nelle fasi avanzate della loro carriera. E nel caso specifico si tratta di una carriera che ha già regalato al pubblico film riusciti in generi diversi. Capolavori assoluti, in alcuni casi. E l'ultimo lavoro, teatrale, intrigante, (auto)ironico, (auto)critico, conferma quella che, a dispetto dell'età, è una seconda giovinezza.
Infatti dal 2002 in avanti, dalla giusta, meritata, sacrosanta, Palma d'oro per Il pianista (che gli è valso anche l'Oscar per la regia), Roman Polanski non sbaglia un colpo: Il pianista, Oliver Twist, L'uomo nell'ombra, Carnage, Venere in pelliccia. Ci sono autori che lavorano una vita intera senza realizzare un briciolo di quello che Roman ha fatto nei soli ultimi dieci anni.
E senza considerare quanto di eccelso già consegnato agli annali del cinema in precedenza.
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Anche nei progetti meno riusciti, tutti concentrati in meno di quindici anni, quelli paradossalmente più sereni della vita di Polanski. Verrebbe quasi da pensare che quella vita da film abbia potuto in qualche modo alimentare l'arte del cineasta.
Da Pirati del 1986 (il non riuscito ritorno sul grande schermo dopo Tess del '79) a La nona porta del 1999, si concentrano infatti anche altri momenti meno riusciti della sua filmografia, come Luna di fiele e Frantic (thriller non da buttare, ma convenzionale ed al di sotto degli standard a cui ci aveva abituati e che avrebbe ripreso oltre vent'anni dopo con L'uomo nell'ombra).
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Celebriamo questi ottant'anni, quindi, guardando anche al futuro, ad i prossimi anni della vita di Roman Polanski che, ci e gli auguriamo, siamo da ricordare solo per le sue opere.