Un Giorno in Pretura torna con un nuovo, sconvolgente caso di cronaca giudiziaria che scuote le coscienze e apre interrogativi profondi sulla genitorialità, la responsabilità e il lato più oscuro dell'animo umano. La puntata, in onda stasera 6 maggio alle 21.20 su Rai 3, ci porta all'interno della Corte d'Assise di Bari, dove si è celebrato il processo a Giuseppe Di Fonzo, accusato di un crimine tra i più inumani: l'omicidio della figlia di soli tre mesi, Emanuela.
Nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 2016, la piccola Emanuela muore all'ospedale Giovanni XXIII di Bari a seguito di una crisi cardiorespiratoria inspiegabile. Ma è davvero stato un tragico evento imprevedibile? Le indagini scopriranno un inquietante schema di episodi ricorrenti, sempre accaduti quando la neonata si trovava sola con il padre.
Questa sera il programma di Roberta Petrelluzzi ricostruisce passo dopo passo il lungo e complesso iter processuale, fatto di ribaltamenti, ricorsi e sentenze, fino al verdetto finale che ha messo la parola fine a quasi otto anni di indagini e udienze. Una puntata dolorosa ma necessaria, per raccontare una verità difficile da accettare.

Ricostruzione del processo a Giuseppe Di Fonzo
Il dramma inizia nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 2016, quando la neonata Emanuela Di Fonzo, di appena tre mesi, muore presso l'ospedale Giovanni XXIII di Bari. La causa ufficiale è una crisi cardiorespiratoria, ma i medici non riescono a individuare una spiegazione clinica convincente. A insospettire gli inquirenti è il fatto che, nei suoi brevissimi tre mesi di vita, la piccola aveva già subito altre crisi simili, sempre in momenti in cui era sola con il padre, Giuseppe Di Fonzo.
Le indagini dei Carabinieri, coordinate dalla pm Simona Filoni, ricostruiscono un quadro inquietante: 67 giorni di ricovero su circa 90 di vita, con episodi respiratori sospetti attribuiti a una possibile azione esterna, e due precedenti tentativi di soffocamento già a novembre 2015 e gennaio 2016.
Inizialmente, Di Fonzo viene accusato di omicidio preterintenzionale e condannato in primo grado a 16 anni di reclusione. Ma la Corte d'Assise d'Appello rivede il capo d'imputazione e riconosce la premeditazione, condannandolo all'ergastolo nel settembre 2020.
La difesa, in questa fase, prova a invocare la sindrome di Munchausen per procura, suggerendo che l'uomo potesse aver agito per attirare l'attenzione su di sé attraverso le sofferenze inflitte alla figlia. Ma la tesi viene respinta dai giudici, che definiscono il gesto come dettato dal rifiuto della responsabilità genitoriale, in quanto la nascita della bambina aveva rappresentato per Di Fonzo un peso insostenibile.
Nel marzo 2022, la Cassazione annulla la sentenza d'appello, ordinando un nuovo processo. Di Fonzo, intanto, viene scarcerato dopo aver trascorso circa quattro anni in custodia cautelare, di cui tre già assorbiti da una condanna precedente per violenza sessuale.
Nel secondo processo d'appello, la Corte riconosce a Di Fonzo le attenuanti generiche e commuta la pena all'ergastolo in 29 anni di carcere. Questa sentenza, emessa nell'aprile 2024, viene infine confermata definitivamente dalla Cassazione il 10 marzo 2025, chiudendo il lungo percorso giudiziario.
Giuseppe Di Fonzo è stato quindi riconosciuto colpevole di omicidio volontario della figlia Emanuela. Il movente, secondo i giudici, risiedeva in una volontà lucida e pianificata di liberarsi dell'impegno di padre, che aveva vissuto come un ostacolo alla sua libertà personale.