No Onions, debutta l'horror psicologico che indaga su regole e ossessioni della vita domestica in India

Presentato al WAVES Film Bazaar, il film d'esordio di Aarti Neharsh, No Onions, usa l'horror psicologico per esplorare i desideri proibiti di una donna incinta e le crepe rituali di una casa devota.

Una scena di No Onions

Nel suo primo lungometraggio, Aarti Neharsh sceglie l'horror psicologico per raccontare tensioni sociali raramente mostrate sullo schermo indiano: No Onions, sviluppato tra Ahmedabad e un vissuto personale, scardina la tranquillità domestica trasformando una casa devota in un ambiente carico di inquietudine e rituali che iniziano a sgretolarsi.

Un horror sulla vita vera in un'Ahmedabad divisa

Il progetto No Onions, presentato al WAVES Film Bazaar dell'IFFI, segna l'ingresso nel lungometraggio di Aarti Neharsh, già autrice del corto premiato The Song We Sang. Il film, sostenuto da Shakun Batra di Jouska Films e da Dimpy Agrawal di Gubbara Entertainment, è attualmente in fase avanzata di sviluppo, con parte dei finanziamenti già confermati e un obiettivo chiaro: avviare la pre-produzione a metà 2026 grazie a nuovi partner e vendite internazionali.

La storia nasce a Ahmedabad, città che la regista conosce intimamente e che definisce un luogo attraversato da un'ossessione silenziosa per la purezza. La sceneggiatura segue una donna incinta che, spinta da desideri alimentari proibiti dalla sua fede, inizia a incrinare l'equilibrio domestico. Ogni nuova voglia culinaria diventa un varco attraverso cui filtrano codici religiosi, discipline familiari e tensioni di casta che alterano il ritmo immobile della casa.

Neharsh racconta di aver maturato questa storia a partire dalle regole quotidiane che osservava durante l'infanzia: "Ricordo amici che sedevano distanti durante il pranzo, rifiutando di toccare certi tiffin (un pasto leggero all'ora del tè); donne isolate durante il ciclo anche nelle case più 'moderne'. Ahmedabad - con i suoi mercati separati, i tavoli 'pure veg' e le divisioni invisibili - porta addosso questa ossessione per la purezza. Solo dopo ho compreso quanto fosse legata alla casta e alla segregazione sociale delle persone."

Nella sua prospettiva, il vegetarianismo, percepito altrove come una scelta etica, assume dimensioni sociali più complesse: è un segno di appartenenza, un recinto, una disciplina che si espande oltre la cucina. Ed è proprio questo incrocio tra corpo, fede e controllo che No Onions decide di osservare attraverso la lente dell'horror psicologico, procedendo con un ritmo lento, domestico, quasi ipnotico.

La voce autoriale di Aarti Neharsh

L'interesse di Neharsh per il genere non nasce solo da un'attrazione estetica, ma da una precisa strategia narrativa. "Sono sempre stata attratta dai film di genere, soprattutto dagli horror coreani, perché permettono di esplorare idee personali e sociali all'interno di una cornice cinematografica coinvolgente. È ciò che volevo fare con il mio primo lungometraggio."

In No Onions la casa non è il rifugio ordinario della vita familiare, bensì una sorta di scenografia sospesa in cui il quotidiano diventa disturbante. Il conflitto tra i desideri della protagonista e il sistema di regole che dovrebbe contenerli alimenta una tensione crescente: l'horror non nasce da apparizioni improvvise, ma dall'erosione lenta e continua di un ordine che si vuole immutabile.

Ahmedabad, con le sue geometrie sociali, diventa così un personaggio implicito. I mercati separati, i codici di purezza, i confini invisibili fra comunità: tutto si riflette nelle dinamiche della casa e nei rapporti di potere che la abitano. Il film rilegge il controllo domestico come forma di potere collettivo e chiede allo spettatore di interrogarsi su cosa sia davvero spaventoso: la fame di una donna o la struttura sociale che tenta di soffocarla.

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La regista, che nel frattempo ha continuato a lavorare per il mondo pubblicitario dirigendo spot, sembra orientata a una poetica che racconta microcosmi intimi per rivelare fratture più grandi. La sua voce emerge già definita, attenta alle ombre sociali, sensibile alle sfumature emotive e pronta a usare il genere come uno specchio che deforma, ma non inventa, verità quotidiane.