Robinson Redford
Delle scuse, e poco altro. Questo ci consegna J.C. Chandor dell'eroe di All is Lost - Tutto è perduto. Delle scuse, un pensiero affettuoso - per figli, familiari, amici? - e un messaggio di resa definitiva. Non sappiamo chi sia, non sappiamo che cosa abbia fatto per meritare quello che sta per capitargli. Sappiamo solo che, quando si sveglia di soprassalto perché un container abbandonato nel bel mezzo dell'Oceano Indiano gli ha speronato la barca a vela, che arriverà a perdere ogni speranza. Ma non prima di tentarle tutte.
Sin dall'inizio, è evidente come Chandor - alla seconda regia dopo il brillante Margin Call - scelga, per narrare il suo naufragio, la via della semplicità, del realismo, del rigore e dell'attenzione ai dettagli. Ricordate le liste, le descrizioni, le brillanti idee del più famoso naufrago della narrativa? Ricordate la sua capacità di escogitare una soluzione anche al problema più preoccupante, all'ostacolo più insormontabile? La sua organizzazione, la sua lucidità, la sua determinatezza? Ecco, il naufrago senza nome intepretato da Robert Redford è molto più Robinson Crusoe che il Pi Patel di Vita di Pi. Non prega, non dispera (fino alla fine), non piange; ma riflette e agisce. Non ci sono preludi o flashback che ce lo raccontano, in All Is Lost - Tutto è perduto, e non ci sono sequenze oniriche che spezzano la monotonia dell'oceano. C'è solo un uomo e il suo desiderio di sopravvivere. Chandor opta per uno stile immersivo e rigoroso, che fa il paio con la razionalità del suo protagonista; così come l'abilità sorprendente del regista nel seguirlo con la cinepresa accompagna la sua incredibile abilità nello sfruttare ogni risorsa abbia a disposizione per salvarsi. La soggettiva praticamente costante è abbandonata solo in rare occasioni, senza che questo intacchi minimamente la totale immedesimazione che il film assicura. Con Vita di Pi, All Is Lost ha in comune il sonoro allo stato dell'arte, un bellissimo commento musicale e la realizzazione sensazionale delle scene di tempesta.
Ma al posto dell'esordiente Suraj Sharma, ovviamente, qui c'è una leggenda del cinema. Avrebbe potuto fare lo stesso film, Chandor, senza Robert Redford? Probabilmente sì, perché sa il fatto suo, ma il fatto di trovarci di fronte a un volto di cui conosciamo ogni ombra e ogni ruga, a un uomo universalmente ammirato, a un divo che è anche una grande persona, aiuta certamente gli intenti di un film così immediato e antiretorico. Redford, da par suo, regala una performance di enorme generosità psicologica e resistenza fisica: straordinario, perseverante, irriducibile. Come la speranza.
Movieplayer.it
4.0/5