Al cinema mancava dal 2005, da quel coraggioso progetto che era Serenity, ultimo disperato tentativo di salvaguardare una serie tv di culto (Firefly) impietosamente cancellata dal network.
Sette anni dopo Joss Whedon torna nelle sale di tutto il mondo con il super blockbuster Marvel The Avengers e l'horror comedy Quella casa nel bosco, due progetti diversissimi ma complementari, due film che ben evidenziano gli aspetti fondamentali della sua carriera: coraggio, volontà di sperimentare, tanta passione per i fumetti e la pop culture, magari un certo sadico piacere per il tema delle apocalissi e per la programmatica uccisione dei suoi protagonisti.
La scelta di affidare The Avengers ad un semi esordiente come Whedon, che aveva in curriculum come regia per il grande schermo solo la già citata space opera, aveva fatto storcere il naso a molti, ma se c'è una cosa che di certo gli non si può rimproverare è proprio la mancanza di conoscenza dei fumetti, in particolare quelli Marvel: da sempre grande fan della nona arte, Whedon è stato autore di collane originali quali Fray o le stagioni inedite delle sue opere televisive (Buffy, Angel, Firefly continuano tutt'ora a vivere con buon successo nella loro incarnazione cartacea) ma soprattutto ha dimostrato con Astonishing X-Men di essere in grado di far proprio l'universo Marvel e mantenere comunque le proprie caratteristiche di scrittura e lavoro sui personaggi.
Da vero fan, Whedon ha un enorme rispetto per gli eroi Marvel e, soprattutto da creatore anch'egli di vere e proprie icone popolari, ha la giusta esperienza per poter gestire personaggi così carismatici e riuscire comunque a ricavare una rilettura personale.
E se a molti potrà ancora sembrare strano l'interesse per un film dal budget stratosferico da parte della stessa persona che più volte ha sottolineato l'importanza del web e dei progetti a costo zero - d'altronde il suo terzo film in arrivo nel 2012 sarà probabilmente lo shakesperiano Much Ado About Nothing, segretamente girato in 12 giorni nella sua casa di Santa Monica con un gruppo di fedeli amici e collaboratori - , bisogna ricordare che è certamente vero che il suo geniale Doctor Horrible's Sing-Along Blog è stato qualche anno fa uno dei grandi fenomeni della rete e gli è valso il prestigioso Vanguard Award del Producers Guild per l'innovazione in ambito produttivo; ma è altrettanto vero che nonostante più e più volte le sue creazioni televisive siano state danneggiate dalle assurde logiche legate ai ratings, Whedon non si è mai allontanato dai grandi network a favore delle tv via cavo che pure potrebbero garantirgli maggiore libertà e sicurezza. Proprio perché fin dagli esordi c'è sempre stata la volontà di rivolgersi ad un pubblico che fosse il più vasto possibile, non ha mai voluto rinunciare alla possibilità di essere egli stesso parte integrante di quella cultura popolare a cui ha sempre attinto a mani basse.
In modo non troppo diverso dal più famoso Quentin Tarantino, Whedon è riuscito a ritagliarsi uno stile personale, benché sempre di natura derivativa. E proprio come Tarantino, ha accumulato un seguito e una fanbase quasi da rockstar, certamente superiore a quelli che, numeri alla mano, sarebbe stato lecito aspettarsi di fronte al successo economico delle sue opere. Dopo ogni progetto, anche dopo il poco amato Dollhouse, per esempio, Whedon non ha perso nulla del suo straordinario seguito, anzi non ha fatto altro che vedere aumentato il suo leggendario status di autore mai banale e di eccellente sceneggiatore.
E' così che Quella casa nel bosco, horror non convenzionale scritto insieme al fedele collaboratore Drew Goddard che qui esordisce dietro la macchina da presa, arriva adesso nelle sale di tutto il mondo dopo una lavorazione particolarmente travagliata (il progetto è stato completato nel 2009 ma la release è stata più volte rimandata a causa delle difficoltà economiche della MGM) ma conservando tutto l'hype che già lo accompagnava tre anni fa quando per la prima volta il film veniva descritto come l'horror che avrebbe cambiato per sempre il genere.
Solite esagerazioni da campagna promozionale? Starà allo spettatore giudicare, ma di certo se c'è un autore che negli ultimi anni ha dimostrato di saper giocare con gli stereotipi dei generi è proprio Whedon, colui che ha costruito un interno universo (spesso chiamato Buffyverse o Whedonverse) intorno alla figura di una giovane ex cheeerleader bionda e avvenente che se ne va in giro di notte per i numerosi cimiteri di una fittizia cittadina della California ad ammazzare vampiri ed altre creature del male. Tutti conoscono, quantomeno per sentito dire, le grottesche premesse di Buffy l'ammazzavampiri, ma pochi sanno cosa davvero si nasconde dietro l'apparenza da serie adolescenziale: non solo manifesto del girl-power in un genere per lo più declinato al maschile e spesso anche caratterizzato da una profonda vena misogina, lo show è anche una profonda riflessione sulla crescita e sull'accettazione delle responsabilità della vita adulta, e soprattutto la testimonianza di una forte volontà autoriale di disattendere continuamente le aspettative del proprio pubblico, di giocare con la struttura classica seriale di genere e di sperimentare nuove forme di linguaggio filmico.
Non è un caso che si debbano al Whedon di Buffy proprio alcuni degli episodi più belli, provocatori e seminali della storia della TV: La vita è un musical (Once More With Feeling) è un miracoloso esperimento musical (come d'altronde lo è il già citato Dr. Horrible) che si amalgama perfettamente all'interno delle storie raccontate di settimana in settimana risultando un'aggiunta perfettamente naturale alla mitologia di Buffy; Un corpo freddo (The Body) è una drammatica rappresentazione del lutto, raccontato in modo realistico e senza fronzoli, niente accompagnamento musicale, niente battute, praticamente (quasi) nulla di sovrannaturale, solo grandi interpretazioni e la perfetta messa in scena del suo autore; l'imperfetto ma coraggiosissimo Sonni agitati (Restless), un esperimento quasi lynchiano in cui in forma onirica si uniscono passato e presente dei suoi protagonisti ma anche echi di quelli che saranno i temi degli anni futuri; L'urlo che uccide (Hush), episodio in gran parte muto e tesissimo, spaventoso e divertente al tempo stesso. E oltre alle punte di diamante di Buffy, ci sentiamo di aggiungere anche quell'Epitaph One di Dollhouse in cui Whedon fa di necessità virtù e tira fuori praticamente dal nulla (e senza budget) un episodio aggiuntivo richiesto in extremis dalla produzione e così facendo modifica e traccia una nuova storyline per l'intera serie.
Whedon reinventa letteralmente nuovi modi di esprimersi, azzera completamente tutti gli archetipi di un genere ed elabora una propria mitologia su cui basare la narrazione; non volendo correre mai il rischio di annoiare i propri spettatori, preferisce piuttosto scuoterli continuamente, a qualsiasi prezzo, anche a costo di apparire ingiustificatamente crudele: ad esempio con le già citate e famigerate uccisioni a freddo di molti suoi personaggi particolarmente amati, meglio ancora se coinvolti in tribolate vicende sentimentali. Lo stesso Whedon in una delle sue ironiche interviste si è scherzosamente lamentato di questa sua fama, facendo notare che in fondo Shakespeare ha fatto anche peggio, mentre lui viene ingiustamente considerato il Jason Voorhees degli sceneggiatori.
D'altronde, prima ancora che un regista o un autore, Whedon è uno spettatore, un lettore, un avido e incontentabile fan, è soprattutto un uomo alla cui mente geniale si unisce un animo nerd che non ha eguali.
E' per questo che all'alba di quello che molto verosimilmente sarà uno straordinario successo al botteghino internazionale e quindi dell'improvviso balzo verso la schiera di registi tanto amati dalla Hollywood che conta, siamo fiduciosi che Joss Whedon continuerà a sperimentare e sorprenderci, in modo sempre più spettacolare, senza lasciarsi mai alle spalle la passione che ha animato i suoi esordi, e che sia presto disposto a trasportarci in nuovi universi popolati da moderni supereroi, icone del girl- e del geek-power.