È iniziata come un "sogno piccolo piccolo" e piano piano ha preso il largo, fino ad approdare tra pochi giorni sul grande schermo. È la storia di Leo e Beatrice, liceali alle prese con un amore messo a dura prova da un evento doloroso, protagonisti prima del romanzo e ora del film Bianca come il latte, rossa come il sangue, in sala dal 4 aprile. Protagonisti Filippo Scicchitano (19 anni), lanciato dal film Scialla! (stai sereno), la francese Gaia Weiss (22 anni) e Luca Argentero, nel ruolo del professore soprannominato "Il sognatore". La storia è nata dalla penna di Alessandro D'Avenia (36 anni), insegnante palermitano, residente a Milano dal 2006, che ha visto quel "sogno piccolo piccolo" trasformarsi in una specie di tsunami che ha travolto non solo la sua vita, con un successo internazionale da 1 milione di copie vendute in 19 paesi, ma anche quella di migliaia di ragazzi, per i quali il romanzo è diventato una sorta di vademecum esistenziale con cui dare voce alle domande più profonde e delicate. Amore, dolore, morte, sogni: sono queste le scintille che infuocano le pagine del libro di D'Avenia e che ora troveranno il loro corrispondente cinematografico nel film diretto da Giacomo Campiotti, per il quale l'autore ha lavorato anche come co-sceneggiatore insieme a Fabio Bonifacci. Un'esperienza che ci ha raccontato in occasione dell'anteprima del film, che, da amanti del libro, abbiamo apprezzato immensamente.
Come hai affrontato il passaggio da romanzo a film?All'inizio ero restio per il fatto che avrei dovuto rivivere di nuovo una storia che già avevo sofferto nella vita e poi nella scrittura e quindi l'ostacolo era rimettermi a fare a botte col dolore che è il tema del libro e del film. È stato un braccio di ferro lungo e doloroso che avevo messo da parte quando avevo l'età del protagonista e che si è ripresentato puntualmente un po' di anni dopo per un'esperienza vissuta in classe. La difficoltà è dipesa da questo. Dal punto di vista della riscrittura invece è stata solo una goduria. Potersi mettere a scrivere una storia insieme a due professionisti come sono Fabio Bonifacci e Giacomo Campiotti è stato divertentissimo, perché mi ha permesso di vedere la mia storia arricchirsi della professionalità di altri. Posso dire con serenità di aver visto sullo schermo una cosa che per certi versi è più bella di quello che avevo scritto. Io nell'ambiente sono un novellino, mentre Fabio Bonifacci ha alle spalle tanti film ed è un maestro, mentre l'occhio delicato e tenero sui ragazzi che ha Giacomo Campiotti è veramente la versione cinematografica di come io scrivo.
È stato un processo immediato e naturale o un po' hai sofferto a veder manipolare la tua storia e i tuoi personaggi?
No, perché essendo co-sceneggiatore c'ero anch'io a manipolarli e reimpastarli. Questa è stata la parte bella del lavoro perché abbiamo dovuto tradire un po' il libro per far rivivere i personaggi in modo nuovo. Così che chi ha letto il libro potrà trovare delle sorprese e chi non lo ha letto potrà godersi il film con il suo linguaggio cinematografico. Quindi è stato un tradimento che ha rinvigorito l'unione della coppia. Oggi c'è questa convinzione che il tradimento aiuti. Io non ci credo... ma in questo caso è stato un tradimento che ha ridato vita alla storia.
La scena sulla quale io devo chiudere gli occhi altrimenti non riesco a vedere il seguito del film è quella in cui loro due si mettono a ballare, quando lei è molto stanca perché la malattia è già avanzata. Il ballo, soprattutto con quella vicinanza fisica che c'è tra l'uomo e la donna, è una specie di grande simbolo dell'armonia dell'universo in cui ci sono queste due energie che si uniscono e ricreano un'armonia nuova da cui può venire la vita. Quello tra Leo e Beatrice è un ballo in cui Eros si sposa con Tanatos. Quando l'ho scritta me l'ero immaginata proprio come la vediamo nel film, solo che nel libro non c'era la colonna sonora... Il fatto che abbiamo scelto di aggiungere a quel ballo la canzone dei Modà che dice "se si potesse non morire" è quello che secondo me rende questa scena veramente completa. Credo che chiunque la vedrà sentirà un colpo alla cosa che desidera di più: un amore che sia per sempre, duraturo, fedele, grande. Mentre c'è sempre qualcosa che impedisce questo e che non si sa bene come gestire...
C'è qualche aspetto della storia per il quale, ancora prima di stendere la sceneggiatura, dentro di te sapevi che avresti lottato per mantenere intatto a ogni costo?
Il titolo. Già era stata una battaglia con quelli di Mondadori (casa editrice del libro ndr) perché il titolo sembrava troppo lungo. Però io mi ero preparato e avevo contato il numero di sillabe del titolo ed erano solo una o due in più de La solitudine dei numeri primi. Così quando mi hanno detto "è troppo lungo" avevo la risposta... Per il film è stato lo stesso perché sembra che non si possa parlare di sangue in un titolo, soprattutto se il pubblico a cui è rivolto sono dei giovani. Eppure c'è un libro che ha fatto quasi un milione di copie proprio perché parla di un tema così delicato... Allora quando mi hanno proposto di togliere la parola sangue, ho detto: "passerete sul mio corpo, piuttosto fate un altro film, ma il titolo non si tocca". Invece è stato positivo che tante cose che nel libro vivevano solo attraverso l'immaginazione del protagonista, hanno preso forma in modo cinematografico. Lo scontro sul ring per esempio. Nel libro la chiacchierata fondamentale tra i due avviene durante una banalissima passeggiata per strada mentre mangiano un gelato. Qui ci sono alunno e insegnante che si prendono a botte, e da un punto di vista metaforico, da insegnante, mi sembra l'immagine più bella di quello che può essere l'insegnamento. Quale alunno non vorrebbe mettere al tappeto il suo prof?
Chiaramente nessuno sarà mai bello e bravo come Argentero, però il grande merito del film è quello di aver portato sullo schermo dei cinema italiani un professore che non è depresso, che anzi è fiero di fare l'insegnante, che ama il suo lavoro e che vede "quel 10% di possibilità nei ragazzi" per il quale vale la pena lottare...
E quale ruolo hanno avuto i tuoi studenti nella stesura del romanzo?
Io ho vissuto tutta questa storia con i miei alunni. Loro sono stati i miei primi lettori. Quest'anno io porterò alla maturità i ragazzi che hanno letto il libro quando erano solo i fogli della fotocopiatrice della scuola. Loro mi avevano dato dei suggerimenti per rendere più verosimili alcune situazioni. Per me tutta la storia del libro è la storia di un compimento. La storia di cinque anni di superiori. Una cosa che comincia piccola piccola come un sogno e che a poco a poco, innaffiata e coltivata, diventa qualcosa di grandissimo: proprio come sono i ragazzi che hai di fronte, che al primo anno sono piccoli piccoli e hanno sogni piccoli piccoli, ma che col tempo diventano grandissimi.
Li hai coinvolti anche durante la lavorazione del film?
Sì, diciamo che ho voluto che conoscessero tutti i grandi professionisti con cui ho lavorato. È venuto in classe Fabio Bonifacci e un giorno anche Luca Argentero. Eravamo d'accordo e lui ha bussato... "permesso". È entrato e chiaramente c'è stato un attimo di perplessità. Poi però è andata benissimo. Le mie alunne sono state delicatissime: chiedevano il permesso di potersi avvicinare, fare la foto e chiedere la dedica. Il problema sono state le colleghe che si sono lanciate "sull'Argentero" e bisognava un po' proteggerlo...
L'unica voce che ho avuto sul casting è stata quella su Filippo Scicchitano. Perché c'erano in ballo due o tre ragazzi. Quando ho visto Filippo, io ho detto: "lui farà Leo meglio di come io me l'ero immaginato" e così è stato. Filippo è davvero straordinario. È uno di quei ragazzi che ti trovi davanti a scuola e che vedi che hanno un talento eccezionale. Un diamante nero che va levigato. Spero tanto che prosegua su questa strada, perché ha tanto da donare. L'unico problema erano i capelli (Leo ha una folta capigliatura ndr), ma per questo mi hanno detto: "non preoccuparti: per questo facciamo magie, siamo al cinema!".
Il personaggio più riuscito?
Sono contentissimo di Gaia Weiss che ha una grazia che era quella che doveva avere Beatrice. Una grazia che ha qualcosa di ultraterreno. Chiunque si accosti a questa ragazza, dal vivo o sullo schermo, vede qualcosa che rimanda a un'altra dimensione. Aurora Ruffino sembra essere stata Silvia (la migliore amica di Leo ndr) in un'altra vita perché è proprio acqua e sapone, perfetta. Luca Argentero in cuor mio era la persona che speravo potesse interpretare questo ruolo. L'ho proposto ed è andata così... Straordinario anche Flavio Insinna, che interpreta il padre di Leo. Il suo personaggio è molto più simpatico di quello che avevo scritto che era fin troppo retorico.
Se gli americani facessero il remake che attori vorresti nei ruoli principali?
Come professore mi piacerebbe Jude Law. Attori giovani che possano sembrare liceali non so dire... Per il ruolo di Beatrice magari Emma Stone.
È stata la battaglia più difficile, perché i fan sono attaccati al libro più di quanto lo sia io. Tanti sono lettori giovanissimi e a quell'età quando un libro entra dentro, lo fa in una maniera particolare. Se lo sono immaginati come volevano loro e chiaramente qualsiasi cosa vedano è diversa. Appena hanno visto i trailer hanno iniziato a chiedere: "Ma perché Beatrice è francese? Perché Leo ha la cadenza romana?". È inevitabile che siano perplessi, però secondo me verranno ripagati perché chi conosce bene il libro potrà rivivere qualcosa di nuovo. Rivivranno le stesse emozioni senza sapere già tutto in anticipo.
Anche il tuo secondo romanzo, Cose che nessuno sa, diventerà un film?
Ci sono già un po' di attenzioni per la realizzazione cinematografica ma stiamo ancora trattando per capire chi potrà farlo al meglio.
Stai già lavorando a un nuovo libro?
Sì ma è una cosa che per ora non pubblicherò. Si tratta della raccolta delle lettere più belle che ho ricevuto dai lettori, soprattutto quelli giovani, divisi per temi, perché ritengo che ci siano una serie di domande a cui una cultura intera non sta rispondendo. Io mi sono trovato a essere subissato di lettere, attraverso il blog e i social network, che fanno domande sulla morte, sul dolore, su Dio, sui sogni, sulla vocazione... Com'è possibile che tutto questo non sia all'ordine del giorno nella scuola italiana? Quasi che il programma sia solo quello di letteratura e non fossero innanzitutto le loro vite. Inoltre sto scrivendo un altro romanzo su cui però preferisco non dire niente.