L'animazione non è mai stata una prerogativa del nostro paese, al netto di alcuni grandi nomi che sono riusciti ad affermarsi nel corso del tempo, producendo con coraggio direttamente nel nostro paese o come artisti nostrani in contesti diversi e internazionali. Da una decina d'anni c'è però una nuova realtà che si sta facendo riconoscere e apprezzare non solo in Italia, ma anche in campo europeo e internazionale: parliamo di Mad Entertainment e di Alessandro Rak, che hanno stupito con L'arte della felicità prima e Gatta Cenerentola poi, fino a una ulteriore conferma che è arrivata finalmente nelle sale per una uscita che è evento in senso vero e puro.
Perché Yaya e Lennie - The Walking Liberty ha il sapore dell'evento in tutto e per tutto, non solo per l'uscita limitata a una manciata di giorni a partire dal 4 novembre, ma perché è tale il valore dell'opera e dello studio che l'ha realizzata da rappresentare un qualcosa da seguire e coltivare, consapevoli che li vedremo crescere sempre di più di progetto in progetto. Proprio di questa maturazione continua abbiamo voluto parlare con Alessandro Rak in occasione della presentazione del film al festival di Locarno, oltre che delle scelte narrative e artistiche fatte per realizzare il nuovo film.
Definire The Walking Liberty
Partiamo dall'inizio, dalla genesi di questo nuovo film. Come nasce l'idea per l'ambientazione e i personaggi della storia?
La prima fonte di ispirazione è stata Uomini e topi di Steinbeck, ambientato durante la grande depressione americana, un periodo in qualche modo apocalittico per l'idea del tempo. Mi ha sempre emozionato dalle prime pagine, con il rapporto tra i due personaggi, un affetto che li lega ma senza che fosse dovuto in nessun modo che uno dei due dovesse prendersi cura dell'altro. È un libro tosto, che porta avanti il tema dell'interdipendenza delle persone che volevo in qualche modo riprodurre. È la base della costruzione di ogni società e viene messa troppo spesso in discussione. Non si può costruire una società piena di regole in cui nessuno si fida di chi ha accanto, è un errore di costrutto, non può funzionare una società con queste caratteristiche. L'ambientazione post-apocalittica ha rappresentato per noi la possibilità di maggior azione in libertà: tutto richiede una grande documentazione quando si lavora, ma una ambientazione di questo tipo permette di attingere alla grande cultura che si ha del proprio tempo. Ognuno di noi ha una grande conoscenza del proprio tempo e del proprio vivere e proiettarlo in una prospettiva futura che è quella dell'ambientazione del film ci avrebbe permesso di agire con più libertà sui temi fondamentali che volevamo trattare. Compreso il tema della società che va ricostruita... o non va ricostruita?
Yaya e Lennie: The Walking Liberty, la recensione: tutto il coraggio della libertà
Mi piace molto che l'ambientazione sia solo tratteggiata, che non si approfondisca molto quello che è successo e che ha portato al mondo in cui si muovono i protagonisti. Come avete lavorato su quanto e cosa dire per definire l'atmosfera generale?
É un lavorio continuo di ragionamento. Ogni passo che fai in animazione e in narrazione cerchi di farti un'idea di che scorci stai lasciando di tutto il materiale mentale che hai costruito, perché ovviamente si mette in piedi sempre di più di quello che si dà a vedere alle persone. Abbiamo avuto da sempre l'idea di essere molto vicini ai personaggi, quindi una percezione che non si discosti molto da due persone immerse nella situazione e senza una chiaro quadro d'insieme di quello che è successo. Non abbiamo voluto fornire allo spettatore più informazioni di quelle di cui dispongono i personaggi. E in linea di massima credo che sia una situazione molto realistica che riguarda un po' tutti, perché nessuno di noi ha mai una visione chiara di tutto quello ci circonda. In particolare i ragazzi di oggi non hanno un legame con la storia tale da sapere da dove provengono, a che punto di un percorso umano si trovano e anche il loro senso di prospettiva cambia in base a questa consapevolezza. Abbiamo cercato di dare un taglio ai due personaggi e le loro osservazione del mondo che potesse somigliare un po' a quella che è la percezione attuale dei più giovani di oggi della nostra società.
Dar voce a Yaya e Lennie
Ho amato molto la voce fuori campo che definisce il contesto tematico in cui ci muoviamo. L'ho trovata un aspetto fondamentale del film. È stato un elemento presente sin dall'inizio della lavorazione o è un'idea subentrata in un secondo momento? E come è nata la collaborazione con Lina Sastri?
L'idea è comparsa abbastanza presto. Nelle primissime versione della sceneggiatura non era già funzionale e funzionante, ma non ero preoccupato di questo, perché sapevo che poteva funzionare e sapevo che avrebbe contribuito al montaggio del film e alla costruzione della narrazione. Quando ha trovato la sua stesura più definitiva e quando ha incontrato la voce di Lina Sastri, allora il nostro quadro si è chiarito definitivamente. Anche perché la voce di Lina Sastri, da donna spregiudicata, di carattere, anche sfacciata quando deve esprimere i suoi concetti, era perfettamente calzante e aveva la capacità di ricordare il personaggio di Yaya, perché ha quegli stessi aspetti, quella ruvidezza e sfrontatezza, che nel caso di Fabiola Balestriere che la interpreta è ancora acerba mentre nel caso di Lina Sastri ha la sapienza e la maturità di una persona più vissuta.
Restando nell'ambito delle voci, ci dici qualcosa sui doppiatori del film? Sia sui due protagonisti e sul lavoro fatto con loro, che sui comprimari, in particolare sul personaggio di Pannofino: quanto ha aggiunto il suo interprete alla sua caratterizzazione?
Ciro secondo me è stato bravissimo perché è scomparso nel personaggio. Ha fatto un personaggio delicato, con una prova d'attore straordinaria, rendendolo sia sobrio che credibile, marcando degli aspetti nel modo più giocoso possibile. Fabiola era ed è perfetta per il personaggio di Yaya. Abbiamo avuto la fortuna di coglierla in quegli anni di maturazione che corrispondono agli anni di maturazione del personaggio, perché ha fatto la prima registrazione che aveva sedici anni e l'ultima che ne aveva diciotto, quindi abbiamo preso anche un arco narrativo proprio della persona. Oltre a questo ha uno spirito indomito, un'energia proprio come individuo, e una voce graffiata, graffiante, sibilante, che calzava alla perfezione sul personaggio, ma anche una risata che ti restituisce tutta la dolcezza della persona. Per quanto riguarda le altre voci, Fabrizio Botta è meno noto di un Ciro Priello, ma interpretato un personaggio più scomodo del film che è quello di Andrè e l'ha pennellato perfettamente. E poi c'è il personaggio di Rospoleón. E chi è nel panorama degli attori italiani che poteva avere la voce di un "rospo che ruggisce come un leone" se non Francesco Pannofino? Abbiamo solo uno con quella voce lì che è fenomenale e anche quella si è rivelata una scelta azzeccata. Poi abbiamo Massimiliano Gallo che ci ha fatto il regalo del personaggio degli Istitutori, anche lì un gioco affettuoso perché ci conosciamo dai tempi di Gatta Cenerentola e si è divertito a fare questo piccolo ruolo per il quale ha partecipato anche in quanto a scrittura.
Alessandro Rak: "L'obiettivo è quello di realizzare qualcosa di piacevole per gli altri"
Quanto ha influito la situazione che abbiamo vissuto sulla lavorazione? Il film era già in produzione da tempo, ma immagino che non sia stato facile...*
Sì, ci ha sicuramente rallentati. Soprattutto ha messo in discussione quello che è il nostro modo di lavorare. Siamo pochi rispetto a grandi realtà e il film comunque dobbiamo consegnarlo come vale per tutti quelli che lavorano nel settore, ma il fatto di essere pochi di solito ci è di aiuto perché possiamo essere tutti compresenti e scambiarci informazioni rapidamente da scrivania a scrivania. Invece l'emergenza ha cambiato questo situazione, ci ha confinati in stanze diverse e ha reso più complicata l'orchestrazione del lavoro. Per fortuna è arrivato in un momento in cui tutti avevamo ben chiaro in mente quello che era il nostro lavoro e forse per questo siamo riusciti comunque a consegnare il film in tempo per Locarno, altrimenti sarebbe stato più difficile.
Un'avventura chiamata Mad Entertainment
Fare animazione in Italia non è facile. Farla al vostro livello ancora più difficile. E immagino che ogni progetto sia necessariamente una serie di compromessi per sfruttare tutti i mezzi a disposizione. Per Yaya e Lennie - The Walking Liberty qual è il traguardo raggiunto che vi rende più orgogliosi? E c'è un rammarico, qualcosa che non siete riusciti a fare e che sperate di raggiungere in futuro?
Rammarico nessuno e tanti allo stesso tempo. Chiudere un film vuol dire mettere la parola fine a qualcosa che sai che avresti potuto migliorare in tanti modi, ma consegnare per tempo un lavoro significa non avere più rammarichi perché hai terminato una missione. Dal punto di vista tecnico e artistico riscontro una crescita costante in quello che andiamo a fare e ogni singolo film ne è testimonianza, è evidente come il lavorare a qualcosa ti rende più esperto e più pratico e ti restituisce una capacità maggiore di operare in termini qualitativi. Quindi siamo sempre soddisfatti, perché siamo tutte persone che fanno questo mestiere per passione, con tanto sacrificio, perché opera in un'economia che non è quella delle grandi produzioni. Sostenere tre anni di lavoro di tutte queste persone è complicato, nel tentativo di costruire una continuità di lavoro per tutti. Quella di Mad Entertainment è una sfida rara in Italia in questo settore. Normalmente si costruisce un progetto, si chiamano le persone per lavorarci e una volta ultimato tornano a casa, per questo la vita degli animatori è spesso di persone raminghe che lavorano in smart working. Noi abbiamo cercato di costruire un gruppo compatto in questi dieci anni, resistiamo facendo sacrifici e una grande battaglia. Se ci fosse maggior supporto delle istituzioni, cinematografiche e non, tutti questi ragazzi potrebbero vivere questa passione con un minor sacrificio.
Hai parlato di crescita. Da L'arte della felicità a Gatta cenerentola a Yaya e Lennie - The Walking Liberty, si nota un'evoluzione nello stile visivo, ma portata avanti con coerenza. Si nota insomma una personale cifra stilistica. Ci racconti come lavorate per mantenere questo stile personale pur andando avanti e facendo cose più complesse di quelle realizzate in precedenza?
La coerenza visiva nell'arco dei film realizzati è legata al fatto che le persone che ci lavorano sono le stesse e anche se le tecniche cambiano, sono l'evoluzione del ragionamento di quelle stesse persone e di conseguenza questo costruisce un approccio visivo che si mantiene pur maturando e cambiando in alcuni aspetti.
Parlavi anche di territorio e in questa ambientazione c'è ovviamente Napoli e c'era anche nei lavori precedenti, in un modo o nell'altro. Quanto è importante per voi il legame con la città? Possiamo aspettarci un lavoro futuro in cui ci si potrà allontanare dal contesto partenopeo?
Una realtà radicata nel territorio e che vuole costruire una continuità con le persone non può non omaggiare il proprio territorio. È nella magia di quel territorio che nasce. Napoli, pur nelle difficoltà, forma un numero di persone impressionante nell'ambito delle arti visive e nell'animazione. Non so come sia spiegabile rispetto ai posti di lavoro che la città è in grado di offrire, ma è così. Questo vuole dire che anche la città ha tanto da offrire e ce ne facciamo interpreti in quanto Mad Entertainment. Napoli può anche sparire da un progetto che andiamo a fare, ma dovremmo chiederci perché. Ogni storia è ambientata in un luogo, perché non può essere Napoli? Anche Sherlock Holmes è ambientato a Londra e quel luogo fa parte dell'immaginario di quel personaggio. Si può ambientare qualcosa in un luogo diverso, ma c'è bisogno di una ragione affettiva anche in quel caso.