Wuxia sotto l'ombra nera di John Woo
Nell'antica Cina dei clan, quello della Pietra oscura impone la sua forza grazie alla conoscenza dei segreti delle arti marziali. Drizzle, killer numero uno del clan, ruba i resti di Bodhi, un principe del sud dell'India, diventato un monaco buddista possessore dei più antichi segreti della lotta. Il bottino le permetterebbe di dominare il mondo, ma l'incontro con un saggio la conduce alla redenzione. Decisa a cambiare vita, accetta una drastica procedura di alterazione del suo volto e si trasferisce nella capitale dove sposa un umile messaggero che nasconde un'identità segreta. Ma la volontà della Pietra oscura di impossessarsi dei resti di Bodhi riapre una guerra sanguinosa che porterà alla luce le reali motivazioni di ogni personaggio.
Grazie alla presenza di John Woo, il cappa e spada abbandona l'imperante stilizzazione ridondante e plasticosa di contenitore vuoto e enfatico e recupera una carnalità salvifica e una malinconia persasi nel tempo. Da una parte Reign of Assassins, co-diretto con Su Chao-Bin, corteggia il melodramma wooniano, i suoi toni ed i suoi accenti stilistici (fermi immagine, carrellate e spazialità vorticosa) dall'altra mette finalmente al centro una serie di personaggi ossessionati dai loro fantasmi, dalla volontà di dominio e dal loro corpo, piuttosto che dal destino o dal bene collettivo. Se poi, come si maligna, Woo (che nell'incontro stampa ha dato tutti i meriti al collega regista dicendosi impegnato solo al montaggio) ci ha messo ben poco le mani, tanto di cappello a Chao-Bin, capace di sottrarsi dai paletti più angusti del genere per dirigersi altrove, in una zona dove il fulcro motivazionale rende giustizia alla serie di twist e spiegoni conclusivi che sorreggono il plot. Contemporaneamente e involontariamente Reign of Assassins celebra il canto del cigno di un genere che può sopravvivere solo attraverso un rinnovamento estremo, attualmente impensabile nel contesto produttivo e commerciale del cinema cinese, capace di reprimere tutte le spinte centrifughe di Hong-Kong sotto l'invasiva coltre di una retorica nazionalista tronfia e indigesta. Perché anche la resistenza operata dal film scritto da Chao-Bin non è sufficiente per sottrarsi ad alcune iperboli stilistiche stucchevoli che ormai sono patrimonio immodificabile del genere (Drizzle che uccide l'insetto con il lancio di un coltello ne è solo un banale quanto significativo esempio), come anche a tutta un serie di scorciatoie coercitive in termini di possibilità narrative. In questo senso importanti risposte arriveranno tra pochi giorni, sempre a Venezia, dal nuovo film di Tsui Hark, maestro inarrivabile del genere, anche lui da anni impantanato nella difficoltà di ridare spolvero al suo vero cinema.