È con molto dispiacere che ci apprestiamo a scrivere questa nostra recensione del quarto episodio di Westworld 3. Un dispiacere che non nasce dalla nuova identità della serie, ormai diventata un action thriller metropolitano senza più l'approccio western che l'aveva resa diversa e unica, che in realtà troviamo una naturale evoluzione rispetto al discorso iniziato quattro anni fa, ma dal pressapochismo generale soprattutto in fase di scrittura che sembra portare la serie lungo un sentiero buio e oscuro. Arrivati a metà stagione la sensazione generale è che Westworld abbia clamorosamente terminato le cose da dire, sia incapace di ritrovare la qualità che l'aveva caratterizzata e che agli stessi autori non importi più molto dei loro personaggi. Come sempre, proseguite nella lettura solo se non vi preoccupano gli spoiler!
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Il ritorno dell'Uomo in nero
Dopo tre episodi in cui l'abbiamo atteso per saperne di più rispetto al cliffhanger alla fine dei titoli di coda della seconda stagione, ecco tornare in apertura William (Ed Harris), l'Uomo in Nero, non più nel laboratorio desolato interrogato da una replica della figlia (possiamo ormai essere certi che quella scena post credits sia ambientata nel futuro, dopo la terza stagione), ma nella desolazione della sua casa. William è in preda alla paranoia e alla disperazione: è rimasto solo, confonde la realtà con la fantasia, dubita della sua natura umana (è forse un robot anche lui?) e riceve le visite fantasmagoriche della figlia che lui stesso ha ucciso nel parco scambiandola per un robot. Con la barba sfatta, gli abiti sporchi, Williams si sta lasciando andare perdendosi nei suoi dubbi. Finché non riceve la visita di Charlotte (o meglio, del suo involucro esterno) che, nel finale, gli confesserà una verità imprevedibile, costringendolo a rinchiudersi in un istituto di cura (interessante notare come l'Uomo in Nero è costretto a tornare a vestirsi di bianco, come durante la prima visita al parco).
Scontri e ricorsi
I personaggi in lotta tra loro, invece, avranno modo di incrociarsi seppur brevemente. Dolores, coadiuvata da Caleb ormai ai suoi servigi, prosegue nel suo piano vendicativo e si scontra per la prima volta con Bernard e Stubbs dando vita a un duello a colpi di arti marziali - non particolarmente esaltante e piuttosto estraneo al personaggio - durante un gala mascherato che ci ha ricordato, in versione futuristica, il club orgiastico segreto di Eyes Wide Shut. Maeve, nel frattempo, per fermare Dolores e aiutare Serac si fa strada all'interno della Yakuza rincontrando una vecchia conoscenza dello Shogun World della seconda stagione. Il potere telepatico di Maeve sviluppato nella stagione precedente, che prima le permetteva solo di entrare nel codice dei robot, ora sembra funzionare su ogni dispositivo elettronico. Se già poteva ritenersi un potere un po' borderline nei confronti di quello che il mondo di Westworld ci aveva abituato, vedere Maeve che si fa strada abusando di questo potere per aprire porte, manomettere pistole automatiche con l'aria da supereroina ci è parsa un'esagerazione poco adatta allo stile della serie.
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Che fine ha fatto il buon vecchio Westworld?
La serie ha cambiato identità diventando qualcos'altro. Non ci sarebbe nulla di male (davvero avremmo voluto un'ennesima riproposizione stilistica di salti temporali, storie complesse intersecate tra loro, il paesaggio western come unico sfondo delle vicende?) se non che a farne le spese sembra essere in primis la qualità di scrittura. Se la scorsa puntata sembrava tornare in coordinate che Westworld ha sempre saputo gestire al meglio, questo quarto episodio mostra tutti i limiti del cambiamento avvenuto all'interno della serie. La trasformazione dei robot, che sia Maeve come supereroina o che sia Dolores come macchina da guerra come Terminator, in personaggi monodimensionali, quasi caricaturali ha annullato tutte le sfumature che, invece, li rendeva umani nel loro essere artificiali. Mossi da un semplice impulso e comportandosi in maniera così innaturale e semplicistica, i personaggi in Westworld sono semplici marionette mosse da un burattinaio che sembra aver perso gusto, tecnica e amore per il mondo da lui creato. Ci si sente delusi e traditi quando in un contesto realistico in cui tutto sembra pensato e coerente improvvisamente un uomo può cambiare identità iniettandosi una piccola percentuale di sangue di un'altra persona. E risulta quantomeno incredibile notare come i sistemi digitali iper-tecnologici che dovrebbero confermare l'identità delle persone, che schedano dati mostrandone sempre un ritratto facciale, vengano semplicemente evitati in base alla convenienza dell'autore per uscire da una situazione troppo complessa in fase di scrittura. Sono momenti come quello che riguarda il personaggio di Caleb alle prese con un traffico di denaro che rischiano di mettere a dura prova la pazienza e la sospensione dell'incredulità dello spettatore e che, va detto, mettono in mostra quella che sembra una scrittura poco curata, blanda, che non appartiene alla qualità a cui la serie mirava.
Un colpo di scena finale che non salva l'episodio
In realtà le cinque sfere che Dolores portava con sé alla fine della seconda stagione non sono banche dati di altri robot, ma copie di lei stessa. Questo in parte ci sorprende perché, nella recensione dello scorso episodio, pensavamo che la sfera all'interno di Charlotte fosse la memoria di Teddy e che, in generale, avremmo ritrovato vecchi personaggi del parco. Una sorpresa che arriva nel finale dell'episodio, forse troppo tardi e forse dopo troppe sequenze che non funzionano, ma che ci lascia tuttavia con la voglia di proseguire la serie. Tenendo conto che anche nella prima stagione di Westworld si alternavano alti e bassi a livello di ritmo e contenuti e che solo nella seconda metà di stagione la pazienza dello spettatore veniva ripagata, vogliamo sperare che i prossimi quattro episodi mostrino i muscoli dando quanto meno un finale appagante e una seconda metà di stagione meno superficiale rispetto a quanto visto finora. Al momento ci spiace constatare che, come viene detto al personaggio di William da Charlotte, guardare Westworld sembra vedere un fantasma.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione del quarto episodio della terza stagione di Westworld ormai poco convinti della deriva della serie. Nonostante alcuni momenti piacevoli, il fascino della serie sembra definitivamente perduto. La scrittura banale e superficiale, con parecchi scivoloni di grana grossa, non rende merito al percorso dei personaggi e ai nuovi sviluppi narrativi. La speranza è che i prossimi episodi possano risvegliarci da questa simulazione mal riuscita di quella che era una delle eccellenze del panorama televisivo.
Perché ci piace
- Un piacevole colpo di scena finale che può portare a qualche sviluppo interessante.
Cosa non va
- La scrittura sembra aver perso tutta la qualità che rendeva la serie affascinante e coesa.
- Molti personaggi sembrano non avere più nulla da dire.