Abbiamo avuto una sensazione continua durante la visione di Wayward: Ribelli, la nuova miniserie Netflix girata e ambientata (in parte) in Canada con una camaleontica Toni Collette. Ossia, la sensazione di trovarci di fronte alla nuova The OA, vero e proprio fenomeno di qualche anno fa, ma presto dimenticata, tanto da non essere riuscita ad andare oltre due stagioni. Tutto fumo e niente arrosto, insomma.

Quello era il lavoro di Brit Marling, autrice ma anche attrice, produttrice, regista insieme al suo storico collaboratore Zal Batmanglij, intenti a sperimentare contenuti e generi. Qualcosa di simile accade anche in questo caso con Mae Martin, che sembra voler replicare un racconto che si muove a metà strada tra reale e soprannaturale, fallendo nel risultato.
Wayward: Ribelli, se Stephen King incontra Wayward Pines
La premessa della serie canadese Netflix non arriva da romanzi, podcast o fumetti, ma da un'idea "originale". Ricorda in qualche modo L'Istituto di Stephen King, ma aggiunge anche sfumature diverse: Toni Collette infatti interpreta Evelyn, una sorta di guru e life coach, direttrice della Tall Pines Academy, in cui giovani adolescenti problematici vengono aiutati a sbloccare i propri traumi attraverso esperimenti altamente sospetti. Questo istituto si trova a Wayward, la cittadina del titolo, e al centro della storia non troviamo soltanto una scuola misteriosa, ma anche una piccola comunità evidentemente piena di segreti, in cui la polizia locale sembra avallare le scelte del suddetto istituto.

Eppure, manca fin da subito quell'atmosfera dark di tanti luoghi che hanno fatto la storia della tv, a partire da Twin Peaks. Chi pensava di trovarsi di fronte ad uno spin-off, o comunque ad un erede di Wayward Pines, visto il titolo della miniserie, e il nome della cittadina, rimarrà estremamente deluso. Quello che invece c'è sin dalle prime battute è una certa attenzione a tematiche adolescenziali, che permane fino alla fine, annacquando un racconto che poteva essere molto più maturo e diretto, meno stratificato.
Troppi temi, generi, storyline e personaggi nella miniserie Netflix
Sono due inizialmente le linee narrative presentate allo spettatore in Wayward: Ribelli: da una parte c'è la storia di Abbie (Sydney Topliffe) e Leila (Alyvia Alyn Lind), due adolescenti canadesi migliori amiche che vorrebbero fuggire lontano e hanno situazioni familiari che non le valorizzano; dall'altra troviamo quella di Alex (Mae Martin), agente di polizia che ha avuto un incidente in servizio, e Laura (Sarah Gadon), originaria di quelle parti che torna a casa per ricominciare, incinta.

Leila è considerata una "cattiva compagnia" per Abbie e ha un passato doloroso in cui ha avuto a che fare con la morte di una persona cara. Non è l'unica dei protagonisti ad avere un trauma segreto nel proprio passato familiare: lo stesso vale per Evelyn e anche per Alex e Laura. La guru vorrebbe essere la madre di tutti, e proprio la maternità giocherà un ruolo fondamentale nello sviluppo degli eventi. Toni Collette è sicuramente la scelta di casting giusta per un ruolo così complesso e ambivalente, ma allo stesso tempo sprecata per una sceneggiatura e uno sviluppo del personaggio così approssimativo.
Le suggestioni che la messa in scena vorrebbe creare, muovendosi in un terreno non esattamente soprannaturale, rimangono in superficie: allo spettatore non arriva il realismo magico o lo stesso mistero che si cela dietro i segreti dei personaggi di Tall Pines. Non risultano appetibili nemmeno la soundtrack retrò oppure alcune scelte estetiche, che vorrebbero sfruttare l'oscurità dei boschi apparentemente infiniti dell'area di Wayward.
L'industria degli adolescenti problematici nella serie teen mystery

Come ulteriore livello di lettura, va detto che la Tall Pines Academy fa parte di una realtà molto sentita negli Stati Uniti: quella degli adolescenti problematici (conosciuta anche con l'acronimo TTI). Al suo interno ci sono svariati programmi residenziali per giovani rivolti ad adolescenti in difficoltà, etichettati appunto come "problematici". Il termine comprende varie strutture e corsi, tra cui centri di trattamento nella natura, campi di addestramento e college terapeutici. I ragazzi e le ragazze possono avere difficoltà di apprendimento e di gestione delle emozioni, malattie mentali e dipendenza da sostanze. Realtà che ha incontrato molti scandali nel corso degli anni a causa di abusi sui minori, corruzione istituzionale e addirittura decessi, risultando estremamente controversa.
Proprio da qui - e dai misteriosi esperimenti di Tall Pines - parte Mae Martin per costruire una sorta di denuncia sociale su questo tipo di contesto, attraverso il concetto della comunità. Purtroppo però tutti i buoni intenti di questa serie si perdono nei risvolti poco approfonditi della narrazione.
Conclusioni
Wayward è una miniserie che ci ha ricordato The OA per il mix di contenitore e contenuti, generi e toni, personaggi nella rosa del gender, messaggi da veicolare, concentrandosi in questo caso sull’industria degli adolescenti problematici. Tutti gli intenti di Mae Martin, si perdono però in troppi storyline, personaggi e tematiche che rimangono in superficie. Arrivati all’epilogo, resta solo una sensazione di amaro in bocca.
Perché ci piace
- L’industria degli adolescenti problematici.
- Regia, fotografia, soundtrack che vivono di suggestioni...
- Toni Collette…
Cosa non va
- ...ma non sono poi così innovative.
- …che però alla fine sembra sprecata per questo ruolo.
- Tutto rimane confuso e in superficie.