War Games
Sono passati i tempi in cui per istigare i giovani ad arruolarsi il governo americano tappezzava le strade con i manifesti dello Zio Sam, che con sguardo penetrante e indice puntato sentenziava: "I want you for U.S. Army". Oggigiorno è necessario sviluppare tecniche di propaganda decisamente più sofisticate e persuasive, magari attingendo al linguaggio di media privilegiati dal target adolescenziale come i videogiochi. Ed è proprio alle convenzioni del videogame, piuttosto che a quelle del cinema bellico classico, che sembra rifarsi Act of Valor, sorta di recruitment-movie incentrato su un manipolo di valorosi Navy SEALs (unità speciale della marina americana) e realizzato grazie al coinvolgimento diretto di autentici ex soldati (rimasti anonimi per motivi di sicurezza).
Guardando il film realizzato da Mike McCoy e Scott Waugh non viene però da pensare tanto ai documentari di guerra, quanto soprattutto ai videogame della serie di Soldier of Fortune, oppure a quella di Rainbow Six tratta dai romanzi di Tom Clancy, tanto per citare alcuni titoli celebri. Non è certo un caso, del resto, che il trailer di Act of Valor sia stato presentato per la prima volta sul sito ufficiale del gioco di guerra Battlefield 3, e che in Italia il film sia pubblicizzato dalla catena di videogiochi Game Stop.
Questo perché, per rappresentare in maniera immersiva e coinvolgente le operazioni militari, i due registi hanno fatto ricorso a svariati artifici stilistici che sembrano presi in prestito direttamente da alcuni generi di videogiochi. Non per niente il tipo di ripresa di gran lunga più utilizzato nel film per coreografare l'azione è la soggettiva (in alcuni casi avvalendosi anche di camere a infrarossi collocate direttamente sugli elmetti dei soldati), che offre allo spettatore una visuale molto simile a quella degli sparatutto in prima persona. Non mancano, inoltre, inquadrature dall'alto e didascalie esplicative che riassumono dettagli sulle caratteristiche dei soldati, in modo molto simile a certi giochi strategici o a simulatori militari. Infine, per filmare i soldati in azione sono state impiegate camere digitali ad alta definizione come Canon EOS e Phantom HD, che conferiscono una patina ipperrealistica e vivida alle immagini catturate. Sfortunatamente, a essere simile a un videogame è anche la struttura narrativa di Act of Valor. La sceneggiatura (elaborata da Kurt Johnstad, autore anche di 300 e del prossimo 300: Battle of Artemisia) è quanto di più elementare e lineare si possa immaginare, e si esaurisce in una serie di missioni militari da compiere (simili agli obiettivi da raggiungere nei videogiochi per passare al livello successivo), che sono in realtà un pretesto per mostrare i soldati in azione su più fronti (terrestre, subacqueo, aereo) e in diversi scenari ambientali (giungla, deserto, oceano).
La storia ruota attorno a una squadra speciale di Navy SEALs incaricata di recuperare un'agente CIA sequestrata da un gruppo di terroristi ceceni guidato dal jihadista fanatico Abu Shabal. L'operazione poterà alla luce un complotto internazionale, in cui è coinvolto anche un trafficante di nome Christo, finalizzato ad attaccare su più fronti gli Stati Uniti in modo da provocare una catastrofe economica mondiale. Scontato dire che l'eroico gruppo di marines super-addestrati riuscirà a sventare i funesti piani terroristici, mettendo in atto una vera e propria caccia all'uomo che finisce per implicare persino il cartello della droga messicano. Dallo sceneggiatore di 300 non ci si poteva aspettare che un pamphlet baldanzosamente patriottico e fieramente militarista, che esalta alcuni valori tradizionali ("onore, libertà, giustizia, famiglia" sono espressamente citati nell'incipit del film) e onora il sacrificio di chi ha il coraggio di immolarsi per difendere la patria, gettando persino un ponte con i padri della Seconda guerra mondiale.
Una morale eccessivamente manichea e semplicistica, in cui tanto gli eroi quanto i nemici risultano delle figure esageratamente stereotipate e prive di sfumature.
In Act of Valor, dunque, non c'è alcuna traccia di analisi documentaria sul fenomeno della guerra, oppure di riflessione teorica sulla violenza: siamo lontani anni luce da opere come The Hurt Locker o Redacted, tanto per citare due titoli che elaboravano in maniera critica la questione bellica. Per Mike McCoy e Scott Waugh a contare è solo l'esaltazione fisica e sensoriale, la stimolazione adrenalinica che si produce durante il combattimento. E, in effetti, i registi riescono a raggiungere l'obiettivo di ricostruire la concitazione della battaglia almeno in alcune sequenze (in particolare la missione nella giungla per liberare l'agente della CIA e lo scontro finale in Messico, all'interno dei cunicoli sotterranei del cartello). Ma tutto questo non basta a determinare il coinvolgimento dello spettatore: chi cerca qualcosa di più, è meglio che si rivolga direttamente alle simulazioni videoludiche di guerra.