"Sono estremamente felice di essere qui e di potermi ritrovare insieme agli italiani con cui ho fatto questo film, di rivedere Marco Müller". Così esordisce Park Chan-Wook, produttore e cineasta di culto coreano, durante il suo incontro col pubblico al Festival del Film di Roma, dove ha presentato il cortometraggio A Rose Reborn, prodotto da Luca Guadagnino per il gruppo Ermenegildo Zegna. Il regista della mitica trilogia della vendetta riesce ancora una volta a spiazzare, adattando e ribaltando la sua estetica per un prodotto su commissione che affronta un tema inedito per il suo immaginario come quello della bellezza e dell'eleganza. Ci ha raccontato soprattutto di questa sua esperienza dove per la prima volta si è cimentato con l'estetica di un marchio, cosa che non gli ha impedito mantenere intatte la sua originalità e la sua filosofia.
L'estetica del marchio e l'originalità dell'autore
Quello che ci ha stupito e di come lei sia riuscito a rimanere così profondamente originale nonostante l'estetica imposta naturalmente dal marchio.
Inizialmente volevo fare un film più vicino alla mia iconografia classica, avevo in mente una storia con un rapimento o qualcosa del genere, comunque più vicina al mio stile, ma poi ho cambiato idea. Il mondo dell'alta moda era per me completamente sconosciuto; dopo una lunga conversazione telefonica con Stefano Pilati sono riuscito a percepire qualcosa di più profondo, ad elaborare una mia idea. Ci siamo trovati d'accordo sulla necessità di rappresentare una nuova era, un nuovo periodo. Mi è stata lasciata tutta la libertà.
Sembra esserci un ribaltamento della visione di Park della società: ovvero l'uomo è buono ma è la società che lo corrompe e lo costringe ad essere violento. É come se in questo caso la società volesse invece tirare fuori il buono che l'uomo ha dentro... è possibile?
Il protagonista Stephen è un uomo che vive chiuso e imprigionato nel mondo attuale, dominato dalla tecnologia che è tutto ciò che lui conosce, non vede più in là di ciò che lo circonda. Mentre Mr. Lu, il suo antagonista, rappresenta una sorta di guida spirituale e grazie a lui riesce ad uscire dal suo piccolo mondo chiuso: insieme costruiscono la promessa di cooperare per il futuro ed il bene del mondo. Se vogliamo paragonare questo film ai miei precedenti, alla Trilogia della Vendetta per esempio, questo e un film assai positivo che rivela invece la bontà che alberga in ognuno di noi.
La bellezza ci salverà
Il concetto che lei trasmette della bellezza é potremmo dire quasi 'stilnovista': la bellezza che salva, che eleva l'anima, innalza al cielo e in questo caso riconnette con la società, un'idea molto tipica della cultura e dell'arte italiana.
Ho lavorato a questo film che naturalmente doveva avere a che fare con il concetto dell'estetica visto che il committente è una casa di alta moda, ma qui ho voluto esprimere non solo quello che significano per me la bellezza e l'eleganza, ma anche lo sforzo di volersi aprire e capire gli altri. Ricorre spesso il concetto della forma tondeggiante che per me è sempre associata a quello della bellezza: il grattacielo The Gherkin di Londra, il volto del manichino, la circolarità della lampada nella miniera, ho voluto sottolineare l'importanza della forma tonda nella bellezza.
Anche come modo di elevarsi e aprirsi agli altri e al mondo dunque...
Nella mia mete ho pensato a questi due uomini che si scambiano i vestiti che indossano. Quando alla fine Stephen è inquadrato dalla testa ai piedi sembra rinato, gli abiti sono gli stessi ma lui ha un aspetto differente, lo vediamo sotto una luce completamente nuova.
Tra America, Korea... e Italia!
Soprattutto come produttore le è capitato di lavorare sempre più spesso ultimamente in grandi coproduzioni. Di recente c'è stato un avvicinamento tra le produzioni americane e koreane: quali sono i vantaggi e gli svantaggi?
Ho avuto in effetti varie esperienze di lavoro con gli americani o in lingua inglese: ho imparato molto in questo processo, però continuo a pensare che il sistema koreano ha degli aspetti che per me rimangono migliori. Ciò significa per me che non si tratta di copiare o diventare come loro, ma di collaborare e apprendere, senza però snaturare la propria filosofia, perché noi non siamo da meno. Gli svantaggi sono che in Corea planning e pre-produzione sono infinitamente troppo lunghi, mentre negli USA é il contrario, è la post-produzione ad essere troppo lunga e complicata.
Qualcosa dell'Italia che l'ha colpita? Potrebbe essere un buon set per un suo prossimo film?
In questo film ci sono scene girate in massima parte a Milano dovo sono rimasto per tanto tempo. Ho incontrato dei grandi professionisti, e mi è nato il desiderio di tornare a girare qualcosa di più lungo.