"Non dovremmo celebrare le unioni, ma le separazioni". È la battuta che il regista premio Oscar Fernando Trueba ripeteva spesso a suo figlio quando era appena un adolescente, un consiglio scanzonato che qualche anno dopo sarebbe servito a Jonas Trueba per realizzare Volvereis, una commedia dal sapore paradossale che mette in scena la quotidianità di una coppia, Ale e Alex, intenzionata a celebrare con una festa di addio la propria separazione. "Negli anni l'ho ripetuta a molti amici che si lasciavano, ma nessuno è mai riuscito a farlo davvero. Così ho pensato che fosse arrivato il momento di trasformarla in una storia e farci un film", ci rivela il regista quando lo incontriamo a Roma per l'anteprima italiana del film (oggi in sala) dopo la presentazione a La Nueva Ola - Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano.
Volvereis: tra finzione, realtà e metacinema

Un film che non è solo un omaggio alla commedia hollywoodiana del rimatrimonio tra citazioni letterarie e rimandi ai maestri della Nouvelle Vague, ma anche un "modo di ringraziare mio padre per l'amore che mi ha trasmesso per il cinema. Fin dall'inizio sapevo che avrei voluto coinvolgerlo, senza di lui questo film non ci sarebbe stato. È come se si chiudesse un cerchio". Non è un caso che il regista gli abbia affidato un ruolo chiave, quello del padre di lei, che mette a disposizione la propria casa per organizzare la festa di separazione. Non solo, Ale fa la regista, proprio come l'attrice che la interpreta, Itsaso Arana, mentre Alex è un attore: un gioco di rimandi e intrecci tra finzione e realtà fino al punto in cui ci si rende conto che il film che stiamo guardano è lo stesso a cui sta lavorando Ale. "Così come accade nella vita, tutto nasce in modo naturale. Volevo fare un po' di autoparodia: raccontare una coppia che lavora insieme, che è qualcosa di bello ma anche molto complicato". L'aspetto più interessante è proprio la dimensione metatestuale, con riferimenti cinematografici che vanno da Truffaut a Rohmer, da Edwards a Linklater e che non risparmiano incursioni nella contemporaneità.

Non manca infatti un curiosa incursione nella serie Dieci capodanni di Rodrigo Sorogoyen, una sorta di film nel film: "Quando ho proposto la storia a Francesco Carril, lui non poteva, era impegnato sul set della serie. Quindi ho pensato che se lui non poteva venire sul nostro set, saremmo stati noi ad andare sul suo. È stato come girare un documentario".
Citazioni, riferimenti e omaggi: tra Hollywood e la Nouvelle Vague

Citazioni e riferimenti letterari sono una costante nella poetica di Jonas Trueba, "non un vezzo intellettuale, ma il desiderio di condividere ciò che mi ispira. Nei miei lavori trova posto ogni libro o film che mi ha colpito, mi piace l'idea di inserire all'interno delle storie che racconto non solo le mie letture, ma tutto ciò che mi ha ispirato". In questo gioco citazionista si inseriscono i riferimenti alla commedia romantica hollywoodiana del remarriage e alla Nouvelle Vague francese. "Ci sono cineasti e pellicole che mi hanno ispirato e mi piace omaggiarli, ma non voglio semplicemente citarli, amo l'idea che facciano parte integrante del film. Mi piace ricordarmi di loro. Amo Truffaut e Rohmer, ma ho anche un debole per le cosiddette commedie del remarriage, dei veri capolavori".
Il potere della ripetizione

La frase manifesto del film è quella che viene ripetuta più frequentemente e che dà origine all'intera storia, "non dovremmo celebrare le unioni, ma le separazioni". Una ripetizione voluta, che per Trueba assume un significato ben preciso, affidato a una battuta che prende in prestito le parole di Kierkegaard: "L'amore della ripetizione è l'unico amore felice" e Trueba è abbastanza d'accordo, perché, spiega, "l'amore che si ripete è più saggio e ha più esperienza. Quando l'amore torna all'interno di una coppia che decide di rimettersi insieme c'è un impegno maggiore rispetto alla prima volta".
Il cinema come memoria e versione migliore di se stessi

Con VolveréisTrueba celebra il cinema come spazio del ricordo e della memoria. "Credo che ogni cineasta, in fondo, cerchi di fare proprio questo: interessarsi al tempo e alla memoria. Ogni film che facciamo - fa notare - è destinato a diventare un ricordo futuro. Quando cito il cinema classico non voglio imitarlo, sarebbe ridicolo, cerco piuttosto di ricordarlo". Ma oggi Trueba rivendica per la settima arte anche un'altra missione: "Non è più uno spettacolo di massa, è ormai uno spazio di tranquillità, di osservazione che ha il compito di fermare il tempo e rappresentarlo. In ogni film c'è amore per la vita e quando andiamo a vederne uno, compiamo un atto di fiducia. Il cinema ci rende migliori".