Recensione Le tre sepolture (2005)

Ha sicuramente una sua specifica importanza, questo esordio alla regia di Tommy Lee Jones, e non solo per la qualità intrinseca dell'opera: "Le tre sepolture", infatti, riassume in sé decenni di cinema americano, restando comunque ancorato alla realtà per temi ed estetica.

Viaggio nel cuore dell'America

Ha sicuramente una sua specifica importanza, questo esordio alla regia di Tommy Lee Jones, e non solo per la qualità intrinseca dell'opera: Le tre sepolture, infatti, riassume in sé decenni di cinema americano, partendo dal respiro dei capolavori del John Ford più maturo, passando per l'impianto morale delle migliori pellicole di Clint Eastwood, per arrivare al clima crepuscolare e disilluso che ha fatto grande un regista come Sam Peckinpah. Cinema orgogliosamente classico, quindi, immerso fino in fondo nella sostanza di quel western che già portava in sé i germi della fine del mito: ma anche cinema ancorato alla realtà, decisamente attuale per temi ed estetica.

Dopo una prima parte prevalentemente descrittiva, in cui la sceneggiatura delinea l'ambiente e il clima in cui la vicenda si svolge (facendo uso di una narrazione non consequenziale che si rivela in questo caso decisamente efficace), il film si snoda come un road movie, in cui i due protagonisti si dirigono verso la città natale del messicano Melquiades, ma anche verso una giustizia più umana, meno classista e razzista; una giustizia per cui ogni immigrato ha diritto alla dignità di cittadino, e l'omicidio di un messicano resta innanzitutto un omicidio. E' forse l'ultimo viaggio per il caposquadra Pete Perkins (magistralmente interpretato dallo stesso regista, invecchiato e malinconico), ma è al contrario un viaggio "iniziatico" per il giovane Mike, guardia di frontiera arrogante e violenta, marito distratto, responsabile della morte di Melquiades: un viaggio che aprirà gli occhi e la mente di quest'uomo, che gli cambierà definitivamente la vita e lo aiuterà. A questo proposito, c'è da dire che lo script rifugge abilmente dai manicheismi, delineando personaggi a tutto tondo, ricchi di luci e ombre, confermando un realismo che si esplicita innanzitutto nel tono della narrazione.

Jones dirige il film con mano sicura, con la consapevolezza di chi, lungi dall'essere un vero "esordiente", ha studiato a fondo gli ultimi decenni di cinema hollywoodiano: è volutamente rallentato, il ritmo della seconda parte, quasi contemplativa per le splendide scenografie e la fotografia naturalistica, permeata da un respiro ampio, ma anche dal conflitto tutto morale tra i due protagonisti; conflitto che presto diventerà, più che politico, generazionale e di vedute. Un viaggio costellato di momenti ad alto tasso di partecipazione emotiva, permeato da uno straordinario rigore e forza evocativa ma non privo di parentesi di humour; parentesi che, integrate nel grande affresco rappresentato dal regista, riescono a stemperare la drammaticità del soggetto mettendo a nudo la vera anima del film, quella del viaggio spirituale prima che fisico. Un viaggio in cui, oltre alla grande prova dello stesso regista, risalta il volto a tratti duro e a tratti spaventato di Barry Pepper, e quello di Julio Cedillo, vero "fantasma" che veglia sulla traversata dei due protagonisti, più reale del (pur necessario) fardello che stanno trasportando.

Movieplayer.it

4.0/5