E' il giorno del primo film italiano in concorso alla 69. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Si tratta di E' stato il figlio diretto da Daniele Ciprì, alla prima regia in 'solitaria' dopo aver a lungo lavorato in coppia con Franco Maresco. Tratta dall'omonimo romanzo di Roberto Alajmo, la pellicola, in uscita il prossimo 14 settembre in un centinaio di copie, è il tragicomico racconto delle vicissitudini dei Ciraulo, una famiglia dell'estrema periferia palermitana. Nicola, rivenditore di ferro vecchio, vive con la moglie Loredana, i due figli Tancredi e Serenella e i nonni Fonzio e Rosa. Quando la piccola di casa viene colpita a morte durante un regolamento di conti per mafia, i Ciraulo decidono di chiedere allo Stato il riconoscimento che si deve ai familiari delle vittime di Cosa Nostra. La cospicua somma di denaro che avrebbe dovuto risolvere tutti i loro problemi economici non farà altro che accrescere le disgrazie. Spinti da un'insaziabile voglia di benessere, infatti, i Ciraulo pretendono di spendere i soldi a loro destinati prima di averli effettivamente sul conto, finendo per indebitarsi e quando sul loro conto in banca arriva la tanto sospirata cifra, decidono di comprare un'inutile Mercedes, status symbol di una falsa ricchezza, che favorisce un epilogo nerissimo. Daniele Ciprì ha incontrato la stampa nella conferenza di rito, affiancato dai bravissimi attori del cast, a partire da Toni Servillo, un credibile capofamiglia del Sud, pigro e violento, passando per Giselda Volodi, Fabrizio Falco e Antonio Castro, quest'ultimo dolente narratore della storia.
Daniele com'è stato il tuo incontro con Toni Servillo, è vero che non eri convinto al 100% che potesse intepretare il ruolo di Nicola Ciraulo? Daniele Ciprì: Non è assolutamente così, anzi. Avevo paura che lui potesse non accettare. Quando mi hanno fatto leggere il romanzo, non avevo un immaginario di visi e volti. Avevo sì una storia ma non sapevo quali fossero le facce più giuste. Poi è saltato fuori il nome di Toni. Ci siamo incontrati e mi sono subito detto, vabbè è perfetto, e abbiamo trovato un punto comune nella interpretazione del romanzo di Roberto che peraltro lui aveva già letto. Toni era preoccupato dal dover recitare in dialetto, ma gli ho spiegato che non mi interessava l'accuratezza della pronuncia. Fin dall'inizio sapevo che non avrei voluto un attore siciliano, ma qualcuno che fosse in grado di evocare i personaggi della Palermo della mia infanzia. Toni mi ha regalato tantissimo, con lui mi sono subito divertito e penso che si sia divertito anche lui.In genere quando si deve intepretare un personaggio dalla fisicità così spiccata si parte sempre da un piccolo particolare. Da dove sei partito?
Toni Servillo: Sono partito dalla fiducia che Daniele ha riposto in me. Al contrario di quello che ha appeno detto, io ero molto timoroso di poter danneggiare il suo film, visto che ho sempre amato il linguaggio originale del suo cinema. Altro elemento che mi ha aiutato è stata la solidità del romanzo di Alajmo, un libro che possiede una qualità molto bella che Daniele ha reso esplicita. Alajmo racconta di una famiglia governata dalle leggi arcaiche dello stare insieme e nonostante questo elemento ancestrale confina con gli smarrimenti che viviamo in una società in cui i comportamenti sono dettati da un alienante consumismo. Trovato questo aggancio è stato solo un piacere mettermi al servizio di una storia affascinante. Il personaggio con gli occhiali, i capelli tinti, la camminata alla fine è venuto fuori da solo.
Daniele, ci racconti il tuo approccio al film? Daniele Ciprì: Sinceramente non lo avrei mai fatto, non mi convinceva, avevo paura di girarlo. Lo definisco un film morturario ma allegro che racconta il dramma di una famiglia italiana e non solo palermitana. La disperazione che si vede sulle facce dei protagonisti un po' ci appartiene.
Senza rivelare troppo del finale, possiamo dire però che c'è una presa di posizione fortissima da parte delle donne di casa Ciraulo che decidono di passare sopra a tutto pur di salvaguardare il benessere della famiglia... Daniele Ciprì: Lì c'è tutta la Sicilia. Quella è la scelta di una capofamiglia cinica ed egoista. Siamo anticipatori di un'apocalisse del comportamento umano.Toni Servillo: Sciascia sosteneva che l'origine dei comportamenti mafiosi è riscontrabile proprio nel matriarcato. La cosa affascinante è che Daniele racconta tutto questo facendo del grande cinema, che è più eloquente di un'inchiesta.
Hai mai pensato di raccontare qualcosa di diverso dalla Sicilia? Daniele Ciprì: Sì, in effetti sto pensando ad altre storie, ma non penso a questa cosa come ad un addio alla mia meravigliosa terra. In fondo anche Frank Capra, che è nato nello stesso paese di mia madre, ha raccontato della Sicilia pur avendola lasciata in tenera età. E' un esempio da seguire.
Toni, qual è secondo te il cuore del film? Toni Servillo: il tema della roba, del possesso degli oggetti a tutti i costi di cui poi la Mercedes diventa simbolo è molto forte, ma c'è qualcosa di più secondo me. Al centro del film c'è nucleo poetico emozionante legato ai due ragazzini, che in un momento della vita in cui l'età li dovrebbe mettere nella condizione di non aver consapevolezza della morte, sono offesi dalla morte. Questa offesa della gioventù, della speranza, dell'avvenire è uno degli argomenti che vengono fuori con più forza.