Uomini libro in fuga dalle fiamme
Sorprende non poco il fatto che Francois Truffaut, avverso da sempre ad un genere come la fantascienza, decida nel 1966 di girare un film tratto da un libro cardine del genere, l'omonimo romanzo di Ray Bradbury. Sorprende al primo impatto, sorpresa che crolla ad una prima lettura della sceneggiatura e, in maggior misura, ad una prima visione del film. Il motivo è presto detto: lo script, il film - inquadratura dopo inquadratura - è pieno di libri, pagine tra le fiamme, voci narranti, volumi nascosti, storie preservate, pagine ingiallite e vecchie soffitte scrigni di letteratura. Truffaut, librofilo integralista, giovane ribelle che nei libri ha trovato vie di fughe dalla propria vita grigia senza affetti, trova nel romanzo di Bradbury - un romanzo di fantascienza - un motivo d'interesse unico ed imprevedibile: la lotta del libro per la sopravvivenza, in una società disumanizzata che vede nella fantasia su carta, nel teatro delle storie sgorgate dalle penne più diverse della storia, un cancro da estirpare col fuoco per raggiungere la vera, distaccata ed autosufficiente felicità in se stessi.
L'amore di Truffaut per i libri è conosciuto. In una delle più belle ed ironicamente amare scene de I quattrocento colpi, Antoine Doinel (alter ego filmico del regista francese) si vede affibbiare uno zero sul tema in classe, perché ha citato, incosciamente, spinto dall'amore, parola per parola, il finale di un romanzo di Balzac. Non solo: nello stesso film il giovane e malato di solitudine Antoine Doinel erige a suo modo, nella testiera del letto, un piccolo altare a Balzac; una piccola candela accesa ed una foto dello scrittore, e non è forse un caso che quella candela, dimenticata accesa, finisca per dare fuoco alla foto stessa ed ad una tenda. Truffaut ha già filmato le fiamme che divorano la letteratura. L'interesse per la dimensione fiabesca dei libri lo affascina a tal punto che dimentica quasi del tutto la dimensione futuristica del romanzo di Bradbury: della società futura disumanizzata, iper tecnologica, in cui la felicità è condensata in una manciata di pillole, nell'etere televisivo, in un sé svuotato dai sentimenti, restano solo pochi accenni svogliati e molti libri. Il metodo che Truffaut utilizza è quello dell'espansione. Egli espande i momenti privilegiati del libro (i roghi dei libri) e li filma più volte su pellicola, morbosamento attratto dal disfacimento della carta tra le fiamme, macabro rito di morte dell'umanità verso un'asettica disumanità che non gli appartiene, così distante dal suo cuore e della sua anima.
Della dimensione futuristica del libro d'origine resta ben poco nel film di Truffaut ed il peso non è indifferente: il film pare talvolta raffazzonato, poco chiaro, quasi che filmare o concentrarsi sui particolari di pura fantascienza sia un fastidio più che una leva su cui fare pressione, quasi che l'ossessione libresca abbia posseduto a tal punto il giovane regista da renderlo schiavo della pagina. Gli accenni alla dimensione futuribile sono centellinati con poca cura: una sorta di treno aerodinamico, qualche risibile e poco credibile robot volante alla fine del film, lo schermo televisivo a muro e le soap opera interattive. Un film così pieno di fiamme appare, alla fine, freddo e distaccato in un senso assai più negativo che positivo, anche se, a voler epurare le pellicola da queste forzature, il film resta una dichiarazione spassionata e sanguigna dell'amore per i libri, ripresi nei modi più diversi: dettagli delle pagine, di singole lettere, copertine polverose, dita che seguono la lettura, occhi.
La storia di Montag è - un'altra volta e non l'ultima - la storia di Francois Truffaut. Addestrato da sempre a considerare i libri come un cancro che porta unicamente infelicità, Montag esegue il proprio lavoro con dovere e dedizione, sale di grado, addestra i giovani bruciatori di libri come il più inflessibile dei superiori. Pare irrecuperabile, eppure ad un'analisi più profonda notiamo in lui, sin dalle prime immagini del film, un tocco d'umanità che è precluso alla quasi totalità dei personaggi che lo circondano, a partire dalla moglie invasata e svuoata, rivoltata dalla fasulla felicità di una Tv e di una pastiglia. Montag è sulla soglia della disumanizzazione, ma l'uscio è ancora socchiuso. Quando incontra sul treno, non per caso, una giovane ragazza di nome Clarisse (tra l'altro, intelligentemente interpretata sempre da Julie Christie, che recita anche la parte della moglie), Montag è ironico verso i libri, così distanti da lui, tenuti a bada dalle fiamme più che dalla volontà. E la volontà, infatti, cede. Montag, spinto dall'amore colorato per Clarisse - di contro all'amore anestetizzato con la moglie - scopre i libri. Il primo romanzo che legge è uno dei libri più spassionatamente sentimentali della letteratura mondiale, David Copperfield di Dickens, le cui prime righe parlano di una nascita, di una venuta la mondo: Montag rinasce egli stesso, la fa con gli occhi, col dito che segue i capoversi, con la mente spugna secca che assorbe acqua fresca di storie.
L'uscio è spalancato e Montag diventa un lettore appassionato, scopre sentimenti veri su carta porosa, si domanda come ha potuto vivere ignorando questo segreto e come ha potuto amare le fiamme e detestare il libro - oggetto dal fascino unico. Una sera, tornato a casa dopo il lavoro, trova la moglie e due amiche davanti al televisore. La scena gli pare disumana. Quello schermo svuota le persone per renderle inoffensive alla società. Montag, in uno scatto d'ira, spegne con rabbia quell'occhio colorato e prende un libro con se, leggendo alle tre donne un brano di Dickens, con aria sofferta e partecipe, voce vera e non metallico suono d'etere. Una delle donne piange "perché è tutto vero": una lacrima dopo mesi di arido vivere è come un fiume che investe un letto troppo piccolo per tenerlo a bada. Montag ha in mano e nel cuore il segreto caldo del libro: il fuoco è dentro le pagine, condensato in storie ed intrecci di persone assai più reali di quelle in carne ed ossa. Questo gesto d'amore costerà caro a Montag, che verrà denunciato dalla stessa moglie ai suoi superiori e si vedrà costretto - felicemente costretto, in fin dei conti - alla fuga: questa società senza libri, senza lacrime e senza sentimenti non può appartenergli.
Il finale del film è dimesso e malinconico, pur portando con sé una forte dose di speranza. Montag, sfuggito all'arresto - anche se in TV è stato inscenato il suo finto omicidio da parte del potere - si rifugia nella bucolica comunità degli Uomini libro, persone di ogni età e sesso che perseguono l'unica possibile salvezza eterna per i libri, mandandoli a memoria per le future generazioni. Un'idea ed una prospettiva che non può che affascinare del tutto Montag, personaggio umano che ha ritrovato il senso vero della vita, fuori dal sistema, fuori dalla società, definitivamente dentro se stesso e dentro la storia (del libro).
Il finale non può non far pensare al finale de I quattrocento colpi. Antoine Doinel fuggiva dal riformatorio per approdare, sconcertato nel profondo e perso nella propria solitudine, sulle rive di un mare gelido e maestoso, monito alla piccolezza dell'essere umano e della fallibilità della ribellione. Montag approda alla campagna, fuggendo la città e la società disumanizzata, rientrando con pieno diritto dall'uscio dell'umanità, diventando piccolo ingranaggio, indispensabile, della storia umana: radici che sono storie, storie che nascono, cadono su carta come foglie autunnali e rimangono per sempre. Se Doinel constatava il proprio cieco fallimento - indipendente da lui medesimo, il fallimento della società - Montag va oltre: costata il fallimento della società e distrugge il proprio, scegliendo, come libro da mandare a memoria per le future generazioni, "I racconti del mistero e dell'immaginazione" di Edgar Allan Poe, sorta di compendio della paura, ad uso e consumo dei figli e dei figli dei figli. Montag uomo libro, incarnazione, impaginazione su carne e sangue di un sentimento unico e, per questo, immortale.