Un vicinato difficile
Abel Turner è un poliziotto di colore del LAPD dai metodi non proprio convenzionali. Esercita il suo mestiere e il suo ruolo di padre vedovo in maniera totalitaria e intransigente ed è persino arrivato ad autonominarsi sorvegliante ufficiale del quartiere. Quando nella villetta accanto alla sua si trasferiscono Chris e Lisa Mattson, una giovane coppia di sposi lui bianco e lei nera, nella mente contorta di Abel scatta un perverso meccanismo di autodifesa che si trasforma presto in intolleranza nei confronti di chi al di là della siepe vive una vita serena senza troppi condizionamenti e tradizionalismi. Da subito Abel renderà la vita difficile ai nuovi dirimpettai, dapprima con piccoli ed innocui sabotaggi, poi con minacce in piena regola. Quando la coppia messa con le spalle al muro decide di ribellarsi ai soprusi la reazione di Abel, anche accentuata dal riposo forzato cui i suoi superiori lo hanno costretto, assume contorni diabolici fino a sfociare in tragedia.
E' lui, Samuel L. Jackson, l'anima e il corpo de La terrazza sul lago, un thriller concepito a partire da un'ottima idea di partenza (rifiuto di ogni progressismo e l'intolleranza razziale vista da un'insolita prospettiva) ma che non sfrutta appieno le sue potenzialità implodendo sotto il peso di una sceneggiatura troppo prevedibile priva di drammaticità e di suspense incapace di coinvolgere appieno lo spettatore nelle vicende dei protagonisti. E' inquietante, è perverso, è folle, è fuori da ogni controllo il giustiziere cieco interpretato da Jackson, attore di una bravura imbarazzante qui in una delle sue migliori performance di sempre, l'unico personaggio ad essere sviluppato in maniera significativa in una storia che manca del tutto di emotività e scivola spesso nel patinato. Tanto eccelsa la prova di Jackson (che da sola vale il prezzo del biglietto) tanto abulica quella dei due attori co-protagonisti che interpretano la felice coppia mista al centro delle attenzioni dello scomodo vicino di casa, autori di un'interpretazione meccanica e flemmatica che finisce per dare il colpo di grazia ad un thriller dai ritmi già di per sé non proprio altissimi.
Non resta che apprezzare il passo in avanti, seppur piccolo, compiuto dietro la macchina da presa da Neil LaBute, regista tra i più controversi da sempre attento a temi di grande attualità e all'analisi sociologica del rapporto uomo-donna. Ottimo l'incipit, noiosi i dialoghi a parte qualche rara eccezione, magnifica la prova di uno dei pochi attori in grado di brillare di luce propria anche nel più brutto dei B-movies, consolatorio e da dimenticare il finale. Un'occasione sprecata da LaBute per provare a cancellare l'onta di aver realizzato qualche tempo fa The Wicker Man, uno dei più brutti remake della storia.Movieplayer.it
2.0/5