Un sequel solo di nome
Dopo il successo del primo The Eye, datato 2002 e fatto uscire, con ottimi risultati, anche al di fuori del mercato asiatico, era inevitabile che la produzione mettesse subito in cantiere un sequel, anche in virtù del protrarsi del generale, buon momento commerciale per la produzione horror asiatica. Un sequel che vede di nuovo al timone di regia i talentuosi fratelli Danny Pang e Oxide Pang, e che vede coinvolto uno degli sceneggiatori che già collaborarono allo script del primo film (lo specialista Jo Jo Yuet-chun Hui, anche coautore dello splendido Going home, segmento dell'horror a episodi Three). Tuttavia, basta dare uno sguardo alla trama per rendersi conto che siamo di fronte a un sequel che è tale solo di nome: il soggetto non ha alcun collegamento con quello del primo film, e presenta invece una ghost story molto classica, in cui l'unico punto in comune con il prototipo è la presenza di un personaggio femminile con il "dono" di vedere le persone morte.
La storia è incentrata sulla giovane Joey (interpretata dalla splendida Shu Qi), che, dopo un tentativo di suicidio seguito a una storia d'amore finita male, inizia a vedere intorno a sé inquietanti presenze, arrivando a un passo dalla follia. In particolare, la giovane è perseguitata dalla figura di un'inquietante donna, che sembra seguirla ovunque vada; inoltre, Joey scopre di essere incinta, ma inizia a temere per la sorte del suo bambino, inspiegabilmente minacciato dall'inquieto spirito. Un monaco buddista svelerà a Joey la probabile origine dei suoi problemi, legata alla reincarnazione, al karma e a un torto subito in un passato molto recente.
Il cinema di Hong Kong torna così ad affrontare temi legati alla spiritualità e alla dottrina buddista (specificamente quelli della reincarnazione e del karma), dopo l'interessante, ibrida operazione compiuta da Johnny To e Wai Ka-Fai nel loro action-movie Running on Karma. Qui i suddetti temi vengono inseriti nel contesto di un horror dalla struttura molto classica, che soffre purtroppo di uno script eccessivamente convenzionale: non c'è molto spazio per quelle trattazioni filosofiche che la sceneggiatura accenna e non sviluppa, e gli argomenti sopra citati (che, se approfonditi, avrebbero fatto assumere al film ben altro spessore) restano in superficie, mero pretesto per mettere in scena l'ennesimo horror post-Ringu, ben diretto ma sostanzialmente già visto. La perizia tecnica dei fratelli Pang è fuori discussione, e, come nel primo film, la loro regia regala momenti di autentico spavento, un'inquietudine costante, supportata da un'ottima fotografia, da un sapiente uso delle luci, e da un sonoro che ancora una volta accompagna ottimamente i momenti più smaccatamente "effettistici" del film. Il problema, in questo caso, è proprio nella sostanziale pochezza della sceneggiatura, che non riesce a conferire un reale spessore ai personaggi e alle loro vicende, che non sviluppa le interessanti premesse da essa stessa poste, e si preoccupa più che altro di inanellare uno spavento dopo l'altro (tutti comunque ottimamente realizzati): solo nel quarto d'ora finale il film cerca di abbandonare il suo carattere di vuota macchina da brividi, offrendo una parte finale ad alto contenuto emozionale: ma purtroppo il principale risultato raggiunto è quello di rendere ancora più evidente il contrasto con la parte precedente, e di far assumere al film il carattere di opera squilibrata, schiacciata tra preponderanti esigenze commerciali e appena accennate velleità d'autore.
Resta comunque la buona interpretazione di Shu Qi, che caratterizza il suo personaggio al meglio delle possibilità offertele dalla sceneggiatura; e resta, come già detto, la buona confezione, che comunque salva il film dalla mediocrità e lo fa risultare, nonostante tutto, un godibile prodotto di intrattenimento. Aspettiamo i fratelli Pang alla prossima prova, quindi, magari con un nuovo horror che non sia realizzato su commissione: il talento c'è, e anche qui ne abbiamo avuto ulteriore prova: ora si tratta soltanto di tornare a fare un cinema a loro adatto, un cinema che all'impatto visivo unisca una storia degna di essere raccontata.
Movieplayer.it
3.0/5