Recensione The Spirit (2008)

Per la sua prima regia "in solitaria", Frank Miller manca sostanzialmente il bersaglio, con un film registicamente debole e dalla sceneggiatura esile.

Un eroe di carta

C'era curiosità e attesa per questo The Spirit, esordio alla regia "in solitaria" di Frank Miller. Una curiosità giustificata, oltre che dall'indiscussa fama dell'autore statunitense, dai lusinghieri risultati (soprattutto commerciali) ottenuti dal precedente Sin City, co-diretto con Robert Rodriguez ed espressione di un cinema che sembrava voler fagocitare con la sua estetica quella delle tavole disegnate, in una commistione di linguaggi certo imperfetta e irrisolta, ma non priva di suggestione. Ad accrescere l'attesa, per gli appassionati di fumetti di vecchia data, l'ispirazione da un classico come quello di Will Eisner, con un suggestivo accostamento di passato e presente di quest'arte traslato, però, nella dimensione dello schermo cinematografico. Dispiace, alla luce di queste premesse, dover rilevare la sostanziale non riuscita dell'operazione, in un film che, pur con qualche buon momento, si rivela narrativamente esile quanto prevedibile, con una pletora di attori sprecati e un'incertezza di fondo sul tono di volta in volta assunto dal racconto.

Le premesse erano in effetti quelle di un'opera più "leggera" e di intrattenimento rispetto al già citato Sin City, che stemperasse la violenza delle immagini con un iperrealismo grottesco, da cartoon, in grado di renderla in gran parte inoffensiva. Ed è proprio quest'incrocio tra un'estetica debitrice, oltre che delle tavole del fumetto, di note e già battute atmosfere noir anni '40 (che per loro natura devono contemplare un certo grado di violenza, esplicita o meno), e la stilizzazione cartoonesca e pulp tipica di molto cinema del nostro tempo, che ha evidentemente creato più problemi a Miller, che invece di amalgamare mescola un po' a caso e affidandosi alla fortuna; confezionando, alla fine, un film probabilmente troppo violento per i palati più mainstream provocatoriamente ammiccati dalla data di uscita, e troppo cialtrone e inconsistente per i cinefili e gli stessi appassionati delle sue storie.

L'inconsistenza della sceneggiatura è comunque il problema principale del film, con uno sviluppo che gira intorno, in modo banale e prevedibile, a una storia di immortalità e a un risaputo e (poco) misterioso parallelo tra eroe e antagonista. Il soggetto, figlio del suo tempo (il fumetto è del 1940) andava attualizzato senza stravolgerlo, cosa che Miller non ha saputo, o voluto, fare. Così, il film corre e incespica tra colorate e surreali gag, divertenti quanto estemporanee, e fallimentari tentativi di dare al protagonista una statura che non ha, infilando anche una storia d'amore che si rivela, nella sua scontatezza, perfettamente in linea con il resto della sceneggiatura. Il digitale del film cattura l'occhio ma (ci si perdoni il gioco di parole) non lo spirito, ricalcando sostanzialmente le intuizioni del film precedente senza possedere la mano sicura, "cinematografica", che riusciva a rendere quest'ultimo godibile pur nella sua imperfezione.
L'impressione, complice anche la poco brillante direzione del cast (a un Gabriel Macht che fa quello che può si aggiunge un Samuel L. Jackson gigioneggiante e sprecato, e le varie Scarlett Johansson ed Eva Mendes che fanno poco più che bella mostra di sé), è dunque che, banalmente, Miller non sia in grado di reggere il peso di una regia da solo, avendo fatto sostanzialmente naufragare un progetto su cui ha voluto, a torto, il pieno controllo. Probabilmente,

perché il suo talento sia ancora utile al cinema, sarà necessario che come in passato questo venga "incanalato" e gestito da qualcuno che, contaminazioni e fecondazioni reciproche a parte, sappia fare ancora, semplicemente, cinema.

Movieplayer.it

2.0/5