Liberamente ispirato alla vera storia dei Liberi Nantes Football Club, la prima squadra di calcio al mondo composta da rifugiati politici, Black Star - Nati sotto una stella nera racconta una disputa di quartiere per un campetto abbandonato di periferia che scatena una guerra tra poveri che diventa un modo per conoscere ed entrare in contatto con l'Altro. Guidata da quattro ragazzi italiani la squadra proverà attraverso lo sport a rivendicare il suo diritto ad uno spazio vitale, al gioco e ad un'esistenza dignitosa, sentendosi per la prima volta parte di un progetto di vita importante. Quando la gestione del campo viene revocata e il sogno dei ragazzi si infrange contro il muro dell'intolleranza e del razzismo rimane una sola soluzione: occupare il campetto e barricarcisi dentro. Girato nel quartiere romano di Pietralata, il film è diretto da Francesco Castellani, documentarista e realizzatore di reportage televisivi, si avvale delle musiche di Ennio Morricone e dell'amichevole partecipazione di Marco Marzocca in qualità di voce narrante. Proiettato fuori concorso alla scorsa edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, il lungometraggio d'esordio alla regia di Castellani è stato presentato stamattina al cinema Adriano di Roma alla presenza del regista, del cast capitanato da Alessandro Procoli e Gabriele Geri, del co-sceneggiatore David Turchi, del produttore Mario Orfini e di Daniela Conti, Presidente della squadra di calcio dei Liberi Nantes Football Club. Dopo le tante difficoltà incontrate dal realizzatori nel trovare un distributore, Black Star - Nati sotto una stella nera arriverà in sala il prossimo 10 ottobre in circa 15 sale distribuito dalla neonata Point Distribution.
Signora Conti, ci racconta com'è nata la squadra di calcio dei Liberi Nantes Football Club?Daniela Conti: Nel 2007, sulla scia dei Mondiali Antirazzisti un gruppo di amici ha pensato di provare a fare qualcosa di importante per la città di Roma e per i migranti che si ritrovano nella città senza sapere cosa fare, tutto questo attraverso il calcio, un sport che è un linguaggio universale attraverso cui tutto il mondo comunica. E così hanno messo a disposizione spazi di sport per tutti i rifugiati e i profughi che volevano allenarsi e giocare a pallone. Il film è liberamente ispirato alla storia di questa squadra ma l'occupazione del campo e la lotta tra italiani e stranieri è accaduta realmente?
Daniela Conti: Il campo esiste veramente ed è il campo sportivo XXV aprile di Pietralata che il Comune di Roma ci ha dato in concessione. Abbiamo messo su una squadra di calcio che gioca 'fuori classifica' per via delle rigide regole della Federazione Gioco Calcio, una sezione di rugby e sezioni in cui si pratica escursionismo senza farci mancare una scuola di italiano ma abbiamo bisogno di finanziamenti e di manutenzione perché ci piacerebbe trasformarlo in un posto accogliente per tutti quelli che vogliono entrarci e venire a conoscere la realtà dei rifugiati. Quello che vedete nel film non è mai capitato e spero non capiterà mai, è solo un'invenzione di sceneggiatura. Com'è stato lavorare a 40° d'estate su un campetto di calcio di periferia? Cosa le ha lasciato questo film?
Alessandro Procoli: A parte la fatica fisica la cosa più difficile per me a livello umano è stato non potersi relazionare con i ragazzi all'inizio, dovevamo cercare di non avere un coinvolgimento emotivo con loro, ma poi siamo diventati amici e ho ascoltato dalla loro voce storie incredibili che neanche immaginavo potessero esistere. Spero che in questo periodo difficile per l'immigrazione nel nostro Paese il film possa essere visto da tanta gente, per me è stata una bella esperienza e spero che sia stato utile parlarne soprattutto per loro. Come regista del film cos'ha imparato girando il film e dalle esperienze difficili di questi ragazzi?
Francesco Castellani: Li frequento da diversi anni, con loro ho realizzato una serie televisiva, poi un documentario sui Liberi Nantes Football Club e ora questo film che contiene tutto quello che non ero riuscito a dire nel documentario. Posso dire che in questi sette anni ho scoperto tante cose sui migranti, sono persone splendide che ti insegnano la dignità come primo valore mentre noi a volte ci dimentichiamo che prima di tutto loro sono persone. Ho sempre creduto nell'integrazione e nei progetti di aggregazione e dopo tanti anni in cui ho accumulato esperienze alla fine sono riuscito a farci un film. Ci racconta meglio quali sono state le difficoltà di distribuzione che avete incontrato?
Francesco Castellani: Il film fu proiettato in anteprima fuori concorso lo scorso anno al Festival Internazionale del Film di Roma e da quel momento abbiamo cercato disperatamente un distributore fino al momento in cui abbiamo deciso di autogestirci e di affidare la distribuzione alla Point Films. Abbiamo contattato da soli esercente per esercente e siamo riusciti a portare il film in quattro città capozona senza agenti intermediari, muniti solo della nostra convinzione. Gabriele Geri è sia attore sia casting director del film, ci racconta questa insolito ruolo?
Gabriele Geri: Non è stato facile trovare le persone giuste per interpretare certi ruoli e sono andato a scovarli in tutta Italia uscendo dagli schemi attraverso un casting del tutto indipendente. Un metodo il nostro che intende in qualche modo destabilizzare e sovvertire questo meccanismo sistemico che governa il cinema italiano di oggi. Sotto questo aspetto Black Star - Nati sotto una stella nera rappresenta qualcosa di pioneristico, spero si possa cogliere questo aspetto anche solo guardando le immagini, ci siamo trovati come una vera e propria squadra su un campo di pozzolana per tanti giorni d'estate e in queste condizioni o arrivi a odiare tutti oppure a volere molto bene a tutti. Come hanno reagito gli abitanti di Pietralata al fatto di trovarsi la troupe per giare il film? Che rapporto avete avuto con il quartiere?
Francesco Castellani: Pietralata è un quartiere unico che ha una storia complessa, è un mondo avvolto in una straordinaria intensità emotiva, un luogo fatto di gente e di popolo. In un primo momento abbiamo dovuto vincere la diffidenza, non tanto verso il film in sé ma verso la storia che volevamo raccontare. Quello che ci interessava era avere Pietralata come luogo d'ambientazione soprattutto perché è un quartiere di rifugiati, popolato da sempre da emigranti italiani e da profughi trasferitisi dopo gli sventramenti del centro storico dovuti alla guerra. Era inevitabile che insistessimo su questo punto, ci siamo confrontati con la popolazione e ci siamo chiariti tanto che proveremo a breve ad organizzare una proiezione del film per tutti gli abitanti del quartiere.