Un (altro) b-movie
Il termine b-movie, dopo lo sdoganamento tarantiniano, incarna una doppia forma di senso. La prima, quella tradizionale, di un film girato con pochi mezzi e tanta fantasia, solitamente collocabile tra quei generi di film che sono imperniati sull'azione e sulla semplificazione dello script, fioriti e proliferati nella prima metà degli anni '70. Il secondo, più nobilitante, definisce la sottotraccia di lavori che racchiudono "sintomi" di quel modo di fare cinema, estrapolandoli da un contesto "povero" di mezzi, per (ri)valorizzarne schemi e contenuti in un contesto più ampio e articolato.
Non si capisce bene dove si inserisca Giorgio Molteni (già visto all'opera nel discreto Il servo ungherese) quando afferma di voler omaggiare un genere, proprio quello dei film di serie b. Perché, per sua stessa ammissione, il film è girato con tale penuria di denaro che nel secondo campo d'ipotesi non può oggettivamente rientrare. D'altra parte più che un omaggio, Legami sporchi sembra un B-movie in piena regola. Ma non dal punto di vista di una rivisitazione o di una ripresa delle tematiche del genere, ma in senso prettamente qualitativo. La struttura narrativa si presta a semplificazioni che appaiono non dovute a intenti di schematizzazione del tessuto interpretativo, ma al contrario dettate da una difficoltà a risolvere in maniera coerente e credibile gli snodi di una trama con troppe pretese. Estrema semplicità/semplificazione anche nella descrizione degli spazi. Molteni cerca di inquadrare uno spazio metafilmico, un luogo ideale nel quale poter girare un qualsiasi prodotto. Ma lo fa senza schematizzare gli ambienti, senza un lavoro geometrico sugli spazi in mancanza del quale, anche a causa di una fotografia pulitina e scolastica, la descrizione di quel che risalta immediatamente agli occhi come una location della riviera adriatica diventa pedissequa e televisiva.
Anche la gestione degli attori, influenzati di certo da un plot da soap opera è approssimata. Il pur bravo Edoardo Sala è costretto ad ammiccare in modo torvo per tutto il tempo in cui sta in scena, Thomas Arana gigioneggia un po' sornione dall'alto del suo carisma, e le presenze femminili sembrano (dispiace a dirlo) quasi solo funzionali alla scena erotica di turno.
Un film che di certo avrebbe come minimo avuto bisogno di una boccata d'aria (finanziaria) in più, ma che manca di quell'autoironia necessaria a un film di genere per non prendersi troppo sul serio.