Un'altra, sanguinosa, giovinezza
Quello de La contessa è un progetto molto sentito da Julie Delpy, regista/attrice francese che da sette anni cercava di raccontare la storia (o meglio la leggenda) di Erzsèbet Báthory, nobile ungherese che si rese colpevole della morte di centinaia di giovani donne al solo scopo di utilizzare il loro sangue di vergini come rimedio contro l'invecchiamento. Quanto ci sia di veritiero in tutto questo è materia per gli storici - la Delpy ammette di essersi presa non poche libertà, ma di non aver modificato gli aspetti significativi della storia - quello che a noi interessa è il risultato di questa terza regia, presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino così come era già stato per il precedente 2 giorni a Parigi.
Ma se lì si trattava di una simpatica e riuscita commedia, questo progetto è un qualcosa di completamente differente sia nella realizzazione che nel risultato: è evidente sin dalle prime immagini, una sorta di prologo confuso e ben poco convincente che riassume velocemente l'infanzia e l'adolescenza della contessa Báthory, che la Delpy non si trova a suo agio nel dramma in costume. D'altronde la Delpy aveva raggiunto l'apice della sua carriera in Before Sunset - Prima del tramonto per la cui (co)sceneggiatura aveva ricevuto perfino una nomination all'Oscar per i suoi dialoghi estremamente realistici e vitali; qui invece si tratta di fare l'operazione inversa, riuscire a dare credibilità a personaggi e situazioni lontani secoli. Ed è così che la maggior parte dei dialoghi e dei personaggi secondari (comunque affidati a talenti emergenti come Daniel Bruhl o Anamaria Marinca o ad autentiche certezze come William Hurt) risultano falsi e monodimensionali. Le cose vanno meglio quando si tratta della protagonista, personaggio più complesso e interessante nonché meglio interpretato (ma ci sentiamo di dare la colpa più alla direzione della Delpy che agli attori stessi), soprattutto quando si arriva al nocciolo della vicenda, il sangue e l'ossessione per la giovinezza, che si capisce essere quella che realmente interessa alla regista. L'ossessione della contessa viene qui attribuita ad una storia d'amore contrastata e bloccata sul nascere, raccontata con un occhio compassionevole e quasi comprensivo che non permette di indagare a fondo nell'animo più oscuro della protagonista, aspetto che forse avrebbe potuto risollevare almeno in parte le sorti di un film che, forse proprio per troppo amore, rischia poco e parte così già sconfitto.Movieplayer.it
2.0/5