Recensione Always - Sunset On Third Street (2005)

Il film si avvale di una struttura molto classica, è supportato da una narrazione attenta e abilmente in grado di gestire i momenti di maggiore partecipazione emotiva.

Un affresco con un'anima

Diverse storie si incrociano nella Tokyo del 1958: Mutsuko, una ragazza che arriva da un piccolo centro rispondendo a un annuncio di lavoro, crede di andare a lavorare in una ditta automobilistica ma si trova davanti alla piccola officina di Norifumi, che vive nello stabile con la moglie Tomoe e il piccolo Ippei; Ryunosuke, scrittore mancato che ha un piccolo negozio di dolciumi dall'altra parte della strada, si vede rifilare da un'amica la custodia di Junnosuke, bambino che è stato appena abbandonato dalla madre; il medico del quartiere, che ha perso la famiglia durante la guerra, vive una vita solitaria ed è il babau dei bambini del quartiere per le sue temibili iniezioni. Sullo sfondo, una città che non ha ancora dimenticato gli orrori della guerra, ancora povera ma con tanta voglia di voltare pagina.

Ha fatto un grande salto di qualità, il cinema di Takashi Yamazaki (di lui abbiamo visto nelle nostre sale il non entusiasmante Returner) con questo Always - Sunset on Third Street, film di ambientazione storica tratto da un manga di Ryohei Sagan, grande successo in Giappone e trionfatore agli ultimi Oscar nipponici. Quello che colpisce subito di questo melodramma familiare all'insegna dell'ottimismo è la sua straordinaria cura estetica: una città minuziosamente ricostruita, frutto di un'attenta commistione di effetti digitali e set attentamente preparati a mano, con una fotografia color sabbia che rimanda direttamente agli anni '50 e ispira il dolce feeling nostalgico di cui il film è impregnato.

Il film si avvale di una struttura molto classica, è supportato da una narrazione attenta e abilmente in grado di gestire i momenti di maggiore partecipazione emotiva; l'origine fumettistica è tradita da un'umorismo spesso sopra le righe, ma mai stonato nell'ambito del grande affresco che il regista compone. Una regia dal taglio, paradossalmente, molto hollywoodiano, che rimanda direttamente all'ottimismo dei film di Frank Capra: un tono che non risulta mai stucchevole, ma al contrario scava a fondo nella materia di un melò che può apparire sfacciato, ma è sicuramente autentico. Qualche eccessiva concessione a un'enfasi troppo di maniera affiora qua e là (soprattutto nel finale), ma è un peccato che si può perdonare a una pellicola che stupisce per la coerenza e la grande cura nella messa in scena.

Diversi minuti di applausi hanno segnato la proiezione del film al Far East Film Festival, salutando il suo regista presente in sala, il primo ad essere stupito di tanto calore. Una seria ipoteca sulla vittoria del premio del pubblico per un blockbuster con un'anima, che riesce dove altri prodotti provenienti dalle stesse latitudini (vedi il non entusiasmante Shinobi) hanno fallito.

Movieplayer.it

4.0/5