L'ex caschetto d'oro di Napoli Nino D'Angelo accompagna a Roma il figlio Toni nella presentazione del suo debutto registico, Una notte, film agrodolce che racconta cinque vecchi amici che s'incontrano dopo tanti anni e si riscoprono in una lunga e sfrenata notte napoletana. Il padre interpreta un tassista buonista, un po' filosofo e poeta dei poveri, portatore della cultura partenopea più classica, ancora profondamente innamorato e pieno di speranza per la sua città, qui rappresentata come un'inedita Napoli da bere. La malinconia del film è stata spiegata da un'introduzione d'eccezione di Goffredo Fofi e raccontata come parte di una comune esperienza personale da parte degli attori presenti in sala: Luigi Iacuzio, Salvatore Sansone e Riccardo Zinna (Alfonso Postiglione e Stefania Troise sono al momento impegnati in progetti teatrali).
Goffredo Fofi: Sono qui stasera per tre diverse ragioni: per prima cosa perché stimo e conosco Nino e la sua famiglia da molto tempo, poi perché è dal '72 che passo il mio tempo a Napoli e questo film è importante per questa città, per far capire come è cresciuta e cambiata. Nel 1900 c'erano il teatro e la canzone, arti per analfabeti perché fatte apposta per chi non sapeva leggere né scrivere, ora non è più così i giovani hanno studiato e vogliono esprimersi in modo diverso. Oggi decadono il teatro e la canzone e si scrive e si fa cinema. Non ci sono solo Valeria Parella e Saviano, ci sono molte sorprese. La terza ragione è che questo film ha il suo valore e merita di essere visto e sostenuto. Toni racconta con una vena eduardiana la storia di cinque personaggi perdenti. C'è poco da ridere, perché nella vita di oggi c'è poco da ridere. Il suo scopo è di raccontare la borghesia disastrata, non la piccola borghesia dei quarantenni arroganti che si presentano solitamente nelle commedie. Si parla di personaggi sconfitti dalla vita. Il film non è una commedia all'italiana, se dovessi paragonarlo a qualcuno direi Cechov e, per il cinema, Cassavetes. Gli attori sono tutti bravissimi e raccontano anche se stessi, aggiungendo proprie battute al copione. L'unica cosa che critico è la presenza di Nino, del tassista buono, che già è difficile da trovare a Roma tanto meno a Napoli. Credo che il suo filosofeggiare sia una forzatura e che la presenza di questo personaggio positivo stoni con il resto. Il film ci mette davanti alla nostra sconfitta, alla sconfitta di questo nostro paese.
Che cosa può dire Toni D'Angelo sul suo primo film?
Toni D'Angelo: Per me è già una vittoria l'essere riuscito a farlo. Io personalmente ho vinto. Il film è nato dal voler raccontare una nottata come potrebbe essere una delle nostre. Mi sono limitato a raccontare me e miei amici. Ne abbiamo cominciato a parlare una sera nel gennaio 2006 e pian piano è nata l'idea, le riprese sono iniziate a settembre e sono durate venti giorni, anzi venti notti.
Una curiosità, ma è vera la storia che Miles Davis è un fan della canzone napoletana e ha comprato tutti i dischi di un cantautore partenopeo, come si racconta nel film? E chi sarebbe questo musicista?
Nino D'Angelo: Sì, è tutto vero. Quando è successo erano gli anni '80, il periodo del caschetto d'oro. Io sono un gran tifoso del Napoli, quindi un giorno mentre guardavamo il Corriere della Sera un amico mi legge "Miles Davis a Napoli, vuol conoscere Nino D'Angelo", io pensai subito che questo Davis fosse un nuovo acquisto della squadra ("ma guarda chi s'è accattato o Napoli, pensai"). Non conoscevo la musica straniera, sono cresciuto con Sergio Bruni e la canzone napoletana classica, sapevo a malapena chi erano i Beatles. Un giorno mi si è presentato Billy Preston, il quinto Beatles, e voleva suonare con me. Io pensai che avesse sbagliato persona e chiesi subito se sapeva davvero chi ero. Comunque la storia di Davis narrata nel film è vera, è successa a Palermo, un tassista aveva Nino D'Angelo nel giradischi e quando montò sull'auto Miles Davis l'uomo fece per abbassare il volume ma il famoso musicista gli disse invece di alzare e di accompagnarlo a comprare tutti i miei dischi. Siccome il negozio di musica che conosceva lui era chiuso, dovette andare a una bancarella, quindi Miles Davis è uno di quelli che hanno comprato i miei dischi pirata.
Ho letto che Toni si è laureato con una tesi su Abel Ferrara e in effetti ho ritrovato nel film molti elementi cari al cinema di questo maestro: le scorribande notturne, l'uso di alcol e di sostanze stupefacenti... c'è una netta influenza. È davvero così e come ha lavorato su questi elementi?
Toni D'Angelo: Da cinefilo prima che da cineasta di sicuro mi sono rifatto ai grandi maestri del cinema. Ma questo film è del tutto mio, è quello che ho vissuto in prima persona con i miei amici. Avevo preso molti appunti guardando film classici, segnato scene che avrei voluto emulare e autori a cui volevo ispirarmi, ma alla fine non sono riuscito a seguire niente di tutto questo. Non ho potuto girare altro che quello che era mio. Ci sono troppi problemi, la pellicola che scorre, il tempo e i soldi che finiscono per fermarsi a fare quello che non viene direttamente da te. Certamente un po' di Ferrara c'è nel film, è stato importane per me infatti, oltre a fare la tesi su di lui, ci ho anche lavorato insieme.
La lettura sociologica del film data da Fofi è forse restrittiva, non è azzardato interpretare questa storia, racconto di cinque amici, come l'immagine della società in fallimento? E il personaggio del tassista, non è uno stereotipo della cultura napoletana?
Toni D'Angelo: Il tassista rappresenta la parte di speranza di questa città. Goffredo Fofi probabilmente vede tutto nero per Napoli, io vedo cinque punti di nero e uno di luce. È voluto il suo essere uno stereotipo, il suo sentenziare e filosofeggiare. Sarebbe stato uno sbaglio se lo stereotipo fosse stato creato senza volerlo.
Com'è diversa la Napoli rappresentata nel film da quella descritta sui giornali di oggi?
Nino D'Angelo: Vorrei incontrare personaggi come Raffaele (il tassista, ndr) tutti i giorni. Sono proprio così i napoletani doc, che non vivono più a Napoli ma in periferia, che parlano per luoghi comuni, sono poetici, nostalgici e un po' filosofi. Con Toni ho imparato molte cose. È strano che lo dica un padre di suo figlio, ma è proprio così. Comunque, a Napoli c'è l'immondizia, ed è vero, ma quando la toglieranno voglio vedere dove la mettono... Non è giusto parlare per sei mesi solo di "monnezza", così si mandano via i turisti, che a Napoli infatti non vogliono più venire. Vorrei capire perché non si risolve il problema invece di puntare soltanto il dito. Dove ci sono due stati non si sa mai dov'è la verità.
Il tassista è come un grillo parlante che dispensa consigli e profetizza, ma quando uno dei passeggeri si sente male si preoccupa più se ha sporcato l'auto che di aiutarlo. Perché questo personaggio non è stato reso più umano? Perché non scende mai dal suo taxi per aiutare i cinque amici e per intervenire in prima persona a quella nottata?
Nino D'Angelo: I protagonisti sono i cinque amici, sennò il film lo faceva il tassista... Comunque, bisogna capire che questo personaggio non potrebbe essere più umano di così. Rappresenta la Napoli che lavora, quella più semplice che deve portare a casa la cosiddetta pagnotta. Poi è chiarito all'inizio del film come il taxi sia per lui non solo il mezzo col quale lavora, ma la sua casa, il suo piccolo mondo.
Visto che gli attori interpretano in parte se stessi e che hanno partecipato alla stesura delle proprie battute, quanto c'è di voi nei personaggi del film?
Riccardo Zinna: Quando abbiamo letto la sceneggiatura ed abbiamo capito che era un disastro abbiamo dovuto intervenire per migliorarla (risate in sala, ndr).
Luigi Iacuzio: Da Nino ho imparato l'umiltà, cosa fondamentale per essere un bravo attore. Io ho scritto la canzone finale "Notte" che mi è stata ispirata dalla storia. Personalmente, non ho tutti gli eccessi del personaggio che interpreto, ho però la sua malinconia.
Salvatore Sansone: Io sono molto diverso dal mio personaggio, perché lui fugge per tutto il tempo dall'amore di questa donna mentre io invece sono abbastanza un tossico per le femmine e quando una mi viene vicino non so resistere (sorride, ironico, ndr). Nino è stato fantastico, nel periodo delle riprese lavorava circa ventiquattro ore: a teatro di giorno e al nostro film di notte. Arrivava verso le due del mattino che sembrava la controfigura di se stesso. Una volta è anche svenuto.
Cosa ha imparato il figlio neo regista da suo padre, un grande attore, anch'egli regista, uno showman?
Toni D'Angelo: Ho imparato che non è uno showman, ma che è proprio così come lo si vede sugli schermi nella vita. Ho imparato che è bello lavorare con persone come lui. Ho sempre saputo che era un bravo attore, il personaggio dell'autista infatti è stato scritto su di lui. Questo è un progetto in cui bisognava credere profondamente e lui ci ha creduto.
Nino D'Angelo: È difficile parlare di padre e figlio in questo contesto. È la cosa più bella del mondo poter lavorare in un film così con il proprio figlio.
Ma all'inizio non voleva accettare, aveva rifiutato di recitare nel film di Toni, perché questa perplessità?
Nino D'Angelo: Per questo era la perplessità (indica_, aprendo le braccia, tutti i giornalisti presi ad ascoltarlo, ndr_). Non volevo che le domande fossero fatte tutte a me invece che a Toni. Il film è suo, è il suo debutto, io non volevo e non voglio rubare l'attenzione a lui. Io ho cominciato a lavorare dovendo sempre superare un pregiudizio davanti a me, ma ho percorso comunque la mia strada prendendomi le mie responsabilità. Ora voglio che Toni si prenda le responsabilità di quello che fa, è il suo momento.