Scrivere la recensione di True Mothers, nuovo lungometraggio della cineasta giapponese Naomi Kawase, comporta qualche ricordo dell'a dir poco bizzarro panorama cinematografico e festivaliero dell'anno 2020: il film era infatti uno dei lungometraggi annunciati come parte della Selezione Ufficiale di Cannes, che aveva annullato la sua 71ma edizione ma comunque marchiato una sessantina di titoli, con tanto di logo che li accompagnava anche se esordivano in altri contesti. È stato il caso della fatica più recente di Kawase, che ha poi debuttato nell'autunno in occasione del Toronto International Film Festival, inaugurando un percorso cinefilo nel corso del quale è stato anche scelto per rappresentare il Giappone nella corsa agli Oscar per la statuetta della migliore pellicola internazionale, la prima volta per la regista (ma senza ottenere la nomination).
Attenti alla madre
True Mothers è basato su un romanzo di Mizuki Tsujimura e racconta la storia di Satoko (Hiromi Nagasaku) e Kiyokazu (Arata Iura), che ricevono informazioni preoccupanti relative al figlio Asato (Reo Sato), accusato di comportamenti violenti alla scuola materna. I due sospettano che possa essere una questione genetica, e dei flashback approfondiscono la loro storia personale: affetti da problemi di fertilità, dopo vari tentativi di trattamento andati male si sono rivolti alla Baby Baton, organizzazione no-profit che si specializza nell'affidare a coppie sterili i figli di donne che non possono o non vogliono occuparsene. Tale è stato il caso di Asato, abbandonato dalla madre biologica Hikari (Aju Makita) per cause di forza maggiore (lei gli lascia una lettera dove si scusa). Il passato si intreccia con il presente quando Hikari salta fuori nei pressi della scuola e comincia a chiedere di poter vedere suo figlio, mettendo in crisi l'equilibrio famigliare che Satoko e Kiyokazu hanno costruito nel corso degli anni.
Drammi personali
I rapporti umani sono sempre stati al centro dell'opera di Naomi Kawase, interessata al confine tra vero e fittizio (a livello tematico e visivo) e spesso mossa da istinti autobiografici (abbandonata in tenera età dai genitori, è stata cresciuta da una prozia a cui ha dedicato uno dei suoi progetti documentari). La sua partecipazione emotiva, intrisa di empatia, è percepibile per tutta la durata del film, che alterna due blocchi temporali per scardinare le aspettative del pubblico e dei personaggi, con fare forse un po' accademico - a un certo punto risulta evidente il tentativo di rimescolare le carte con una sorta di colpo di scena - ma sempre efficace, guidato da uno sguardo umano e caldo, affezionato a ciò che sta accadendo sullo schermo.
Radiance e la delicatezza di Naomi Kawase
È un'opera che si interroga sulla nozione della maternità, contraddicendo chi volesse cercare di demonizzare o sminuire l'adozione già nel titolo, rigorosamente al plurale: sia Hikari che Satoko sono le vere madri del piccolo Asato, e il film lo sottolinea dando a entrambe il medesimo spazio nei vari segmenti temporali, unendo le loro sofferenze con grande tenerezza per creare un atto d'amore cinematografico nei confronti della famiglia, in tutte le sue accezioni. Quella sincerità, veicolata attraverso uno sguardo che punta al reale con precisione quasi documentaria, rende il film, con tutte le sue imperfezioni, un caldo grembo accogliente dove far crescere le emozioni nel corso della visione, con il buio della sala cinematografica ad aumentare la forza di un dramma intimo e diretto, senza troppi fronzoli.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di True Mothers, sottolineando come nel suo nuovo dramma intimo Naomi Kawase esplori con grande delicatezza il tema dell'adozione e come questo influisca sul concetto di maternità.
Perché ci piace
- Il cast è perfettamente in sintonia con la sincerità dell'approccio registico.
- L'idea di base è molto forte.
- La componente emotiva è di grande impatto.
Cosa non va
- Alcuni passaggi sono un po' troppo artificiosi.