True Blood promuove la sovrappopolazione. Per lo meno lo ha fatto fino alla quinta stagione, affollando Bon Temps e dintorni di protagonisti nuovi senza - quasi mai - far fuori quelli vecchi. Ancora più spiccato il disappunto, pertanto, quando nelle ultime puntate a lasciarci le penne era stato proprio il folle e sublime vampiro Russell ("La pace è per i cagasotto!"), impunemente e letteralmente pugnalato alle spalle da Eric al colmo di un'estasi fatata (e fatale, sic!).
HBO propone il sesto appuntamento estivo con la serie - almeno fino a ieri - più gore, sfacciata e sfrontata degli USA, senza cambiare rotta: gli sceneggiatori di True Blood continuano - anche dopo la dipartita dello showrunner Alan Ball - a fregarsene allegramente degli ascolti, delle esigenze di mercato e del resto del mondo e quasi nessuno, tra i veterani, ha reso l'anima.
Per questo li stimiamo anche quando decidono di rimpolpare ulteriormente il cast e continuare a infliggerci la presenza di Alcide e degli altri licantropi drogati del suo famelico branco (per non menzionare l'Ifrit di Terry). L'anno scorso le troppe linee narrative che spesso non si incrociavano l'una con l'altra hanno reso la serie soprannaturale piuttosto faticosa da seguire, ma per grazia degli autori i nuovi episodi vantano storyline più coese. La sesta stagione riprende - come al solito - da dove aveva lasciato: Bill è morto esplodendo in una pozza appiccicosa di sangue - che soddisfazione - e risorto - purtroppo - dalla medesima in versione "Billith". Posseduto dalla Dea dei vampiri, ha acquisito invincibili poteri e una missione, salvare la sua razza dalla paventata estinzione crescente. La stagione recupera uno dei temi della prima annata, quella del letale razzismo di bigotti, fascisti e maniaci religiosi, portandolo a vette estreme. In Virginia tira aria di Cabal, e al posto di David Cronenberg c'è il governatore Burrell, votato allo sterminio - e alla ricerca mengeliana - dei vampiri, detestati visceralmente perché uno di loro gli ha soffiato la moglie. Mentre lo sceriffo Andy patisce le conseguenze del suo amplesso con la fata che gli ha rifilato le loro quattro figlie ibride, Bill è tormentato dalle visioni ominose di stermini nazisti e cerca una cura all'allergia solare dei suoi simili. La sua evoluzione lo rende gradualmente più efferato e sfrontato e, finalmente, gradevole.
Le fanciulle crescono a vista d'occhio e il loro gustoso sangue magico potrebbe essere il segreto della sopravvivenza dei vampiri agognato da Billith, recentemente ripudiato - a colpi di paletto - da Sookie. La cameriera telepatica ha altri problemi: sembra essersi finalmente svegliata, dopo anni di totale assuefazione a una sopravvivenza precaria e un'onorata carriera come tiro a segno umano. Sookie vuole tenersi lontana dai guai e dai vampiri, ma come anticipato nel corso della stagione precedente, un suo antenato ha firmato un contratto che la offriva in pegno al presunto villain dell'annata. A difenderla dal millenario Warlow c'è l'altrettanto antico Niall, il nonno degli Stackhouse interpretato da Rutger Hauer, svanito, potente re delle fate che sembra il parrucchiere di Einstein. Come accennato, True Blood ci regala una Sookie che sembra aver finalmente imparato a non farsi intortare dal bel mostro di turno, e naturalmente il nuovo arrivato, il garbato e affascinante Ben, riserva svariate sorprese. Questa sesta stagione è ancora più accurata nel fornire alle improbabili avventure del variegato bestiario soprannaturale un background paradossalmente realistico, dove le comparse sonnecchiano indolenti e il passato ritorna, sempre.
Dopo il neo vampiro gay Newlin, torna anche la sua assatanata ex moglie timorata di Dio Sarah, la quale ha rimediato un nuovo leader anti-vampiri fanatico e popolare da manipolare. Burrell (Arliss Howard, Medium), villain ottuso e razzista, fa rimpiangere ancora di più i cattivi fuori di testa, amorali e clowneschi come lo sradicatore di spine dorsali Russell: anche se a prima vista sembra il solito inutile umano votato a fare una brutta e chiassosa fine, con il suo esercito di soldati dalle efficaci armi anti-vampiro, i laboratori di ricerca scientifica degni di moderni lager e la vocazione allo sterminio sistematico spaventa più di menadi, ifrit, succhiasangue e altri mostri soprannaturali di True Blood. L'uomo non cede alle preghiere della figlia Willa - astutamente vampirizzata da un Eric sempre più scaltro e seducente -, fa giocare ai gladiatori Pam e il suo creatore evocando prevaricazioni storiche, e la sua intolleranza laica e distruttiva allarma più di quella cieca e religiosa di Compagnia del Sole e sanguinisti. Eppure True Blood si diverte a giocare con lo spettatore: chi viene spacciato per cattivo (forse) non lo è, chi lo è non lo è abbastanza, chi non lo sembra agisce nascondendosi dietro il prossimo ed è davvero da temere.
La sesta stagione di True Blood - premiata dalla resurrezione degli ascolti - fa paura, una paura che ha ben poco dei brividi gore e allegramente splatter delle annate precedenti. Il nuovo showrunner Brian Bruckner opta per una True Blood meno chiassosa e spavalda, meno gaia e spensierata. E dall'impronta horror più classica, anche se non è ancora detto che il suo intento sia funzionale a una critica sociale o si risolverà in un puro espediente d'intrattenimento. Bruckner punta più sui contenuti che sulla forma, e senz'altro la sesta stagione è più dark e inquietante (addirittura le fate sono meno kitsch!): True Blood ne esce narrativamente più interessante ma decisamente meno divertente; in una parola, snaturata. Una volta tanto non nuoce.