Tra gli eventi di maggior richiamo di questa edizione del Trento Film Festival, c'è stata sicuramente la presenza nel capoluogo trentino di Erri De Luca e Mauro Corona, venuti a presentare il film in concorso Alberi che camminano. I due scrittori, amici di lunga data, sono rispettivamente ideatore (e sceneggiatore) e membro del cast del documentario diretto da Mattia Colombo; il film è un interessante esempio di opera antropologica con gli occhi ben fissi sul presente, basata su un concetto di ambientalismo che parte dal concreto, dall'esperienza diretta, in piccole realtà comunitarie, di un diverso rapporto col territorio.
De Luca, che ha tratto il titolo da un brano del Vangelo di Marco, ci ha parlato della genesi del film, del suo legame coi temi che tratta e con la materia prima che lo ispira (il legno, nelle sue infinite trasformazioni); Corona, da par suo, ha aggiunto aneddoti e storie sulla sua partecipazione al progetto, e sui motivi e i temi che tradizionalmente ispirano il suo lavoro; confermando l'eclettismo di una personalità decentrata e unica. Una chiacchierata stimolante, che ha potuto illuminare i molti aspetti di un'opera preziosa, essenziale nello stile quanto complessa nei temi che mette in campo e nelle suggestioni che stimola.
La genesi e la scrittura
Com'è nato il progetto del film? Potete raccontarci qualcosa della sua genesi?
Erri De Luca: L'idea nostra, quella della produzione OH!PEN, era parlare di alberi: lo stesso titolo viene da quell'immagine magnifica del vangelo di Marco, in cui un cieco riacquista la vista e vede, come prima immagine, proprio questa meravigliosa figura degli uomini come "alberi che camminano". Poi, abbiamo voluto immaginare veri alberi: ovvero, ciò che fanno gli alberi dopo che vengono abbattuti, cosa diventano. A quel punto, andare da Mauro è stato automatico, visto che lui viene da una terra dove davvero gli alberi hanno camminato: nel disastro del Vajont, infatti, sono caduti giù da una diga, ma poi sono tornati a ripopolare la zona.
Qual è la differenza tra scrivere narrativa e scrivere per il cinema?
Erri De Luca: Io racconto storie, semplicemente. A volte scrivo teatro, e in quei casi scrivo solo i dialoghi, mi piace ridurre la storia a quello; altre volte scrivo poesia. Per me la scrittura è una sola, anche se a scuola magari ti insegnano vari metodi di scrittura: ma per me la materia principale è sempre carta e penna. Certo, il cinema è un'opera collettiva, è il risultato di una collaborazione, mentre un romanzo è materia personale.
Il senso di un'opera e la sua valenza
Una storia come questa, secondo voi, può avere una valenza "politica"?
Erri De Luca: Nel senso di suscitare un "sentimento" politico, sì. La politica non è fatta di leggi, ma di sentimenti: esiste un senso di giustizia, uno di compassione. In questa accezione, credo che il film trasmetta un sentimento di affetto nei confronti della materia prima da cui proveniamo, e di maggiore intimità con la terra: quella che trasmette questo senso nobile della biologia che è l'albero. Forse questo sentimento può diventare politico, nel senso che può convincere qualcuno a non buttare una cartaccia vicino a un albero. In questo senso, sì, è anche un film politico.
Mauro Corona: Il sentimento politico trapela... Mozart diceva che la musica in realtà è tra le note, e questo è un film fatto sottovoce. Se i politici non fossero miopi, o non fossero lì semplicemente perché non gliene frega niente del prossimo, dovrebbero cogliere il messaggio di questo film; che trasmette valori che in realtà sono anche economia. Ci sono sapienze che si stanno perdendo: per esempio la tecnologia che ti dice quando tagliare gli alberi, che ti rivela che ci sono periodi e ore precise. In tutto questo c'è una valenza economica, c'è la possibilità di creare lavoro: su da noi, dove non c'è turismo di massa e non vanno i vip, si sta chiudendo tutto. Non c'è più la cultura di usare il bosco, tagliando con cura dove si deve tagliare, e lasciando che si ricrei, con rispetto. Non c'è più la visione che permette di inventare lavoro utilizzando i boschi; ora, o i boschi si radono al suolo per far passare funivie o seggiovie, oppure si lasciano lì ad invadere le case. Questo film dovrebbe in questo senso far aprire gli occhi: il legno, d'altronde, dura più del cemento armato, basti pensare che Venezia è ancora lì, sui pali di legno. E' un materiale di resistenza infinita.
In un periodo come questo, in cui c'è un sovraccarico di informazione (unito a una sostanziale superficialità e a una fruizione distratta) secondo voi bisogna puntare a opere essenziali come queste, per risvegliare una coscienza sociale e ambientale?
Mauro Corona: Sì, ma il messaggio dovrebbe colpire soprattutto coloro che decidono le sorti dell'umanità. Non serve solo che lo veda uno spettatore che non può fare nulla. Non c'è opera d'arte che possa far aprire gli occhi a chi non li vuole aprire. È chi di dovere, che dovrebbe fare in modo che si operi in questo senso.
Secondo voi, in un periodo in cui assistiamo al risorgere di nazionalismi e regionalismi spietati, è possibile recuperare un legame di comunità, come quello che si vede nel film, in senso progressista o addirittura rivoluzionario?
Erri De Luca: Principalmente, tutte le forme di chiusura sono antieconomiche. Chi vuole fare sbarramenti impoverisce: l'umanità in realtà è diventata accogliente per interesse, non perché buona di animo. L'umanità in realtà è buona e cattiva insieme: è dimostrato che l'accoglienza e l'ospitalità sono redditizie: Abramo, dovunque si avvia, prospera e fa prosperare il luogo che lo accoglie. Quelli che si chiudono e dicono "no, l'altro non lo voglio", sono in realtà dei sabotatori di loro stessi; non dei "cattivi". Sono solo degli incoscienti, gente che sta rinunciando a un'energia, a un valore. Si tratta in realtà di semplice buon senso, di interesse, non di buoni sentimenti. Non esiste il buonismo, ma l'interesse che sfrutta l'energia positiva, piuttosto che quella negativa.
I rapporti col grande schermo
Che rapporto avete avuto col cinema, come spettatori?
Mauro Corona: Il mio rapporto è stato scarsissimo, ma non perché ce l'abbia col cinema; il fatto è che sono vissuto in un posto dove dovevi fare 60 km per arrivare al cinema più vicino, quindi per forza di cose ci ho avuto poco a che fare. Poi mi sono un po' rifatto guardando la televisione, dove davano ottimi film: per esempio mi piacevano i western con Clint Eastwood, però in genere preferivo la lettura, visto che i libri li avevo lì vicino, sottomano. Comunque, mi piacciono anche i film di Ermanno Olmi, visto che parlano di boschi, alberi, ovvero cose che conosco: sono anche suo amico. Amo anche i film a soggetto, ma devono sempre avere a che fare con la natura; per esempio, tempo fa qui a Trento ho visto un bellissimo film, intitolato Cinque giorni una estate, con Sean Connery; parlava di rocce, di scalate, e di un alpinista ritrovato tra i monti dopo 80 anni. Mi piacciono in genere i film in cui ci siano nuvole, boschi, questo genere di cose: ciò dipende da un mio affetto, da una reminiscenza dell'infanzia.
Erri De Luca: Io ho gli stessi gusti di Mauro, mi piacciono racconti all'aria aperta, più che quelli ambientati in città, anche se vedo pure questi ultimi: il mio film di riferimento è Dersu Uzala - Il piccolo uomo delle grandi pianure di Akira Kurosawa. Sono stato uno spettatore di più grande cinema del mondo, quello italiano del dopoguerra, che con un'approssimazione per difetto viene chiamato neorealismo: lo dico perché quei registi la realtà la inventavano, erano visionari. Per esempio, in Tutti a casa c'è una scena che simboleggia perfettamente l'immagine del caos, dello sbandamento generale dopo l'8 settembre del '43: quella di un marinaio che corre su un cavallo bianco. Quello è più che realismo, è visionarietà. Il cinema italiano del dopoguerra è stato una grande industria cinematografica: c'erano eccellenze che si mettevano insieme umilmente, mentre oggi invece sono diventati tutti cantautori. Io sono stato spettatore contemporaneo di un cinema meraviglioso.
De Luca, cosa ricorda della sua esperienza come giurato al Festival di Cannes?
Erri De Luca: Una pacchia! Vedevo due film al giorno, ero ospitato sontuosamente, e ho incontrato anche persone interessanti, come per esempio Steven Soderbergh. È stato un privilegio. Se me lo offrissero di nuovo, ci tornerei sicuramente.
Lavorerete ancora per il cinema, o per l'audiovisivo in genere?
Mauro Corona: Sporadicamente mi è capitato già in passato, di lavorarci: per esempio, tempo fa ho prestato la mia faccia per un piccolo film girato qui a Trento. Però non sono molto addentro al mondo del cinema: dal mio libro L'ombra del bastone, per esempio, c'è l'idea di trarre un film, ma io potrei al limite solo dare qualche suggerimento su cose come la mungitura e il pascolo. La mia esperienza si ferma qui. Non saprei minimamente fare il regista, neanche di un film tratto da un mio libro: per quello ci vuole una competenza tecnica, non si può improvvisare.
Erri De Luca: Quando mi si presenta un buon progetto, lo accetto volentieri, certo. I progetti ora non mancano, quelli non mancano mai: il problema è che spesso ne "ballano" dieci, e poi alla fine ne esce fuori uno.