L'hanno fatto anche Aldo, Giovanni e Giacomo, ma nessuno si è scandalizzato. Il problema sorge se nel citare la realizzazione di una trasposizione dal teatro al cinema di uno spettacolo musicale si pronuncia per ben tre volte il cognome De Sica: Brando De Sica al suo esordio da regista omaggia papà Christian attore, che a sua volta omaggia l'adorato e indimenticato padre Vittorio. Punto di partenza di questo viaggio a cavallo di tre generazioni lo spettacolo teatrale Parlami di me, arrivato nei teatri di tutta Italia, artefice di un gran successo di pubblico ed interpretato dal celebre re dei cinepanettoni.
Sull'onda di citazioni come "un attore non deve per forza diventare grande" o "certo la miniera è più dura ma talvolta questo mestiere non è affatto facile", tra una canzone di Luttazzi, una citazione di Garinei e diversi riferimenti ballati e cantati rubati al musical classico anni '50 tutto lustrini, charleston e tip tap, De Sica riesce a dare il meglio di sé in una versione inedita in cui i suoi fan 'natalizi' stenterebbero a riconoscerlo.
Parlami di me è il ritratto di un artista che soffre il peso dell'essere 'figlio di', di un ragazzone cresciuto a pane e cinema ma che non ha mai ricalcato gli ingombranti fasti paterni, di un caratterista efficace che ripercorre la sua carriera in lungo e in largo citando tutti i suoi miti, un ballerino mancato un po' goffo e appesantito dagli anni ma sempre molto versatile e autoironico. Parlami di me è però fondamentalmente un ritratto di famiglia che lega il cinema al teatro e il teatro al musical puro, un'opera che unisce tre generazioni in maniera quasi impercettibile: Vittorio aleggia nell'aria, è quasi scenografico ed appare in gigantografie in bianco e nero che a tratti emozionano e commuovono; Christian è l'attore che comincia a fare i bilanci della propria carriera e i conti con gli anni che corrono e col commercialista; Brando è l'emozione, la freschezza e l'ingenuità, è un regista in erba che fa quel che può nel tentativo di apportare una qualche novità in uno spettacolo certamente non eccezionale ma comunque onesto, snaturato nel suo senso più stretto e plasmato sotto i colpi della macchina da presa. La regia di Brando De Sica è patinata, di stampo prettamente americaneggiante ma assai efficace, briosa ed accurata nella sua visualità globale che spazia tra l'orchestra, il palcoscenico, il backstage ed una platea gremita ma mai troppo entusiasta. Molto ben realizzata la scena d'apertura che conduce ai titoli di testa, ma davvero pessima la chiusura, il cui senso si perde nei meandri del kitsch più spinto, espresso in maniera 'impeccabile' dal siparietto familiare tra i coniugi Christian e Silvia Verdone. Ma non è di certo questo epilogo a stupire, quanto il fatto che il film, fondamentalmente un esperimento annunciato, sia stato selezionato in concorso.