Raccontare la separazione, l'abbandono, la vita attraverso la malattia, Tre Ciotole è questo e molto di più. Isabelle Coixet confeziona un film che colpisce e ferisce dritto come una spada e allo stesso tempo consola offrendo una prospettiva interessante e autentica sull'esistenza e le relazioni. Liberamente tratto dall'omonimo libro di Michela Murgia, ultimo uscito prima della sua morte, questo lungometraggio presentato anche al Toronto International Film Festival, propone un adattamento coraggioso del testo originario, una rielaborazione importante che fonde, rimescola e aggiunge per rendere, quella che era strutturata come una serie di racconti, una narrazione unica e coesa dove i sentimenti, specialmente verso sé stessi, giocano un ruolo fondamentale.
Malattia, solitudine e vita
Dopo quello che sembrava un banale litigio, Marta (Alba Rohrwacher) e Antonio (Elio Germano) si lasciano. Lei è un'insegnate di educazione fisica e dopo la separazione inizia ad avere problemi di salute: ha la nausea, ha perso l'appetito ma inizialmente pensa che sia tutto legato a ciò che sta passando. Antonio, invece si getta a capofitto nel lavoro, anche se, tormentato dai ricordi, comprende che riuscire a trovare una nuova quotidianità si rivela un'impresa più dolorosa del previsto.

Quando Marta però dopo alcune visite mediche scopre che i suoi problemi non sono dovuti alla sofferenza e alla solitudine ma ad una malattia di altra natura, per lei la vita e la quotidianità assumono significati che mai avrebbe immaginato, portandola a riflessioni profonde su sé stessa, le relazioni e gli affetti che l'hanno accompagnata durante gli anni. Riscoprendo e assaporando la vita in piccoli e apparentemente insignificanti gesti, costruisce intorno a sé una rete di persone e abitudine che le offrono conforto.
Un adattamento intelligente
Una delle perplessità più grandi che avevamo prima della visione di Tre ciotole riguardava proprio il suo adattamento: il libro di Murgia è un insieme di racconti legati gli uni agli altri da un elemento tanto sentito quanto complesso: la crisi. Che sia per un abbandono, una malattia o un'emergenza che sfugge al loro controllo, ogni personaggio da lei raccontato vive una crisi esistenziale profonda, cosa che ritroviamo con forza anche in questo film, solo attraverso l'utilizzo di espedienti narrativi differenti.

Il lungometraggio di Coixet, sceneggiato insieme a Enrico Audenino, fa in tal senso un passo tanto azzardato quanto vincente: sceglie di fondere gli elementi principali del libro intersecandoli anche con il vissuto della sua autrice. Quello che ne risulta è una storia coesa e profonda che, anche se non ha il tempo di scavare a fondo nell'animo dei personaggi, riesce a compiere le scelte giuste per raccontarli con efficacia allo spettatore. Il peso del film, infatti, grava per buona parte sulle interpretazioni di Rohrwacher e Germano, ai quali vengono anche affidati dialoghi dal sapore autentico e dalla scrittura impeccabile.
Isabelle Coixet e il tema della morte

Isabelle Coixet dopo La mia vita senza di me del 2003, torna quindi sul tema della morte concentrandosi non più su ciò che viene lasciato ai posteri ma su quello che può essere vissuto nel presente, sull'inebriante sapore dell'esistenza che ci pervade fino all'ultimo respiro. Per farlo la regista sceglie di contaminare a tratti il presente con i ricordi (meravigliosamente rappresentati attraverso la pellicola Super 8) e di rendere Roma, e in particolare Trastevere, un palcoscenico vitale fatto di suoni e scorci suggestivi, una presenza onnisciente che tutto vede, accogliendo rinascite e solitudini.
Conclusioni
Tre ciotole è un film che riadatta con intelligenza il libro di Michela Murgia, una pellicola profonda ma essenziale che pur apportando enormi cambiamenti rispetto alla controparte cartacea ne eredita gli intenti e il messaggio. L’ottima scrittura e la regia interessante lasciano comunque il peso della riuscita del lungometraggio sulle spalle di Alba Rohrwacher e Elio Germano, che offrono quindi un’interpretazione autentica ed efficace.
Perché ci piace
- L’adattamento che mantiene comunque intatto lo spirito del libro.
- I dialoghi, veritieri e sentiti.
- La regia, impreziosita da espedienti efficaci.
Cosa non va
- Potrebbe deludere chi desidera un maggiore focus sui personaggi secondari.