Tim Burton ci parla del suo ultimo capolavoro, Big Fish.
Mi sembra che questo film rappresenti un gradino importante nella sua carriera. Ho notato che c'è molta più realtà rispetto ai film precedenti, quasi tutti basati su fiabe e/o racconti fantastici.
Anch'io ho sentito che per me era qualcosa di diverso, perché ho sempre avuto a che fare con altri immaginari e mi sono sempre divertito a farlo. Ma qui ho voluto cambiare livello, ho provato a fondere l'immaginario precedente con un certo tipo di semplicità e di realtà emotiva. Mi sono divertito molto, perché io la vita la vedo così, su entrambi i piani, quindi provare a metterli insieme sullo schermo, a farne una cosa sola, è stato un passo importante per me.
Il film è la storia del rapporto tra un padre e un figlio, ma - attraverso i racconti di Edward - mi è anche sembrata essere una forte metafora della narrazione e dello stesso fare cinema. Ci ha mai pensato?
Oh, certo! Forse, visto che mi piacciono i film, finisco sempre per gravitare verso la passione e la forza della narrazione, del cinema, dell'immaginario, dei sogni, senza fare troppe distinzioni tra questi elementi. Era importante per me anche perché non avevo intenzione di dipendere troppo dagli effetti visivi che vengono aggiunti in post-produzione. Era importante: se c'era bisogno di un auto sull'albero, bisognava avere fisicamente l'auto sull'albero; i fiori dovevano essere nel campo, non volevo aggiungerli dopo. Questo mi ha dato la realtà e mi ha aiutato ad avere a che fare con la fantasia. Ed è utilissimo anche per gli attori: Ewan poteva stare in un vero campo di fiori, avendo così una reazione emotiva diversissima rispetto a quella che avrebbe avuto se li avessimo aggiunti dopo. Penso che anche il pubblico lo possa avvertire.
Date queste considerazioni, mi è anche sembrato che il personaggio di Edward Bloom abbia molti punti in comune con un altro Ed che lei conosce bene, Ed Wood?
Sono d'accordo, c'è del vero in questo. Adoro quel nome, Edward, perché mi ha sempre portato fortuna: tutti loro, Edward Mani di Forbice, Ed Wood e questo Ed, li sento molto vicini a me, in tutti questi film. Sì, anch'io l'ho visto molto così: un personaggio "alla Edward D. Wood Jr".
Ho notato che all'inizio del film ha fatto in modo che l'opinione del pubblico sulle storie fantastiche di Ed corrispondesse a quella del figlio: non vi si crede troppo, ci si chiede chi sia quest'uomo strano e un po' imbarazzante. Poi qualcosa cambia.
E' un punto interessante, è proprio vero. La vera sfida in principio era di evitare di dire in maniera netta: "Qui c'è la storia e qui c'è la realtà". Volevo sfocare un po' queste due linee, perché la verità, almeno per me, è che le persone percepiscono le cose in modo diverso; anche se qualcuno vede qualcosa come irreale, tutto in un certo senso può essere considerato "reale". Anche nelle storie fantastiche puoi trovare la realtà. E' la mia filosofia di vita, penso che sia importante, ho provato a presentarla.
Mi stavo chiedendo come avesse lavorato visivamente sulle due parti del film: ovviamente le storie di Bloom sono più "burtonesche" dell'altra parte, che invece appariva un po' più drammatica per rappresentare la realtà dell'esistenza.
Quello che abbiamo cercato di fare, a parte far sì che le storie si mescolassero, era soprattutto di non rendere le tecniche di ripresa troppo diverse. Volevamo anche evitare il classico stile di racconto del sud degli USA, del tipo "ora mi siedo nella mia veranda e vi racconto una storia"... Si trattava di dare un ritmo diverso, qualcosa di differente... come lei ha detto prima, sulle prime sai che le storie non sono vere, poi si cambia leggermente registro: ho pensato che fosse importantissimo. Anche nella vita di tutti i giorni è difficile capire dove cominciano e dove finiscono la realtà e l'irrealtà. Anche se ci sono delle differenze, ho cercato di renderle un po' meno nette.
E' questo il motivo per cui il film è così pieno di riferimenti ai suoi precedenti lavori?
Non l'ho mai fatto volontariamente; quello che succede è forse che, a mano a mano che lavori, ti rendi conto che ci sono degli elementi ricorrenti, siano essi immagini, sentimenti, roba che ti interessa, o altro. Tutto questo era lì, ma la novità era il lato realistico che le miscelava insieme. Era quello il nuovo territorio.
Sono stato molto commosso dalle scene in cui c'era Ed solo con sua moglie o Ed solo con suo figlio. Ci sono scene nelle quali non accade praticamente nulla, a parte dei piccolissimi gesti.
Anche quello era molto importante, perché in un film come questo, che entra ed esce dalla realtà, ho sempre sentito che fossero quelle le cose più importanti. Non avrai mai un'immagine completa delle vite di tutte queste persone, solo dei frammenti. In quest'idea, la realtà risiede nel vedere alcuni piccoli scenari, dei piccoli frammenti delle vite di qualcuno, come la scena della vasca da bagno. Volevo mostrare i rapporti, ma non volevo farlo in modo troppo esplicito. E' come se tu arrivassi e vedessi due persone che interagiscono, a volte magari non stanno facendo nulla, a volte si stanno solo guardando, ma io trovo questo più bello e più eloquente delle persone che ti dicono tutto.
Come inserisce questo film nell'evoluzione della sua carriera da regista? Vi si iscrive perfettamente o è qualcosa di leggermente diverso?
Beh, è difficile da dire, perché quando finisci qualcosa è difficile inserirla in un contesto più ampio, se non dopo qualche anno, almeno per me è così. Ma ero interessato, come ho detto prima, a quello che per me era un territorio inesplorato, cioè mischiare, tessere la fantasia in una realtà semplice ed emozionante. Non so se c'è continuità, credo solo che nel fare un film ti basi su un progetto e provi a costruire da lì. Mi sono divertito molto a farlo, sentivo che per me era qualcosa di inedito.
Un'ultima domanda. Sono curioso: cosa ci riserverà la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka?
Sinceramente, a questo punto della lavorazione, le uniche due cose sicure sono Johnny Depp e un sacco di cioccolata! Per ora non posso dire di più, chi vivrà vedrà!