The Outfit, la recensione: su Netflix un "thriller da camera" ricco di colpi di scena

La recensione di The Outfit, film dove Mark Rylance veste i panni di un tranquillo sarto inglese che, all'interno della sua bottega, si ritrova suo malgrado coinvolto in una resa dei conti tra bande criminali.

Un'immagine promozionale di The Outfit

Chicago, 1956. Leonard Burling è un sarto di origini inglesi che gestisce una piccola attività nella quale confeziona abiti eleganti, in un quartiere controllato dal capo della mafia irlandese, Roy Boyle. Il figlio di Roy e secondo in comando, Richie, e il suo partner Francis, usano la sua bottega come deposito per soldi sporchi e per realizzare loschi affari. Leonard tollera la situazione anche perché gli uomini della banda sono proprio tra i suoi migliori clienti.

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Mark Rylance è il protagonista di The Outfit

Come vi raccontiamo nella recensione di The Outfit, la situazione prende una piega complicata quando si vocifera della presenza di una talpa che starebbe diffondendo informazioni compromettenti ai federali, tramite un nastro che avrebbe registrato informazioni scottanti. Richie, che ha anche una relazione con la bella Mable, la segretaria di Leonard, finirà per ritrovarsi in una situazione complicata mentre l'esperto sarto dimostra di possedere diversi assi nella manica, ritrovandosi a dover gestire una serie di eventi sempre più rocamboleschi.

L'eleganza prima di tutto

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Zoey Deutch e Dylan O'Brien in una scena di The Outfit

Un film ambizioso The Outfit, che sin dal voice-over iniziale si dimostra un film metodico come il suo ossessivo protagonista, del quale scopriamo progressivamente dettagli nel vorticoso susseguirsi di colpi di scena che caratterizzano i cento minuti di visione. Visione ambientata per la sua totalità in un'unica ambientazione, quelle tre - quattro stanze della bottega di Leonard, che fanno da sfondo a una multipla resa dei conti tra i vari contendenti. La gestione dei personaggi va di pari passo con quella dei dialoghi, che nascondono in un gioco di inganni e sotterfugi le reali intenzioni di chi è in scena: situazioni di stallo che vivono una tensione piacevolmente old-school, quasi proveniente da un cinema passato, e che affascinano proprio nel loro impatto démodé. Stona perciò parzialmente la gratuita rivelazione del forzato epilogo, parziale nota stonata pensata come concessione ad un pubblico che vuole sapere tutto senza lasciare il necessario spazio all'immaginazione.

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Essere o non essere

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Chi è davvero il tranquillo sarto di The Outfit?

Sbavatura finale a parte, The Outfit riesce a trovare la corretta chiave di lettura nella rivisitazione di un thriller da camera nel quale si dipana una storia mafiosa dove nessuno può effettivamente fidarsi di nessuno, con i ruoli che si ribaltano in continuazione in questa storia di parallelismi e scoperte, che coglie al meglio il pur claustrofobico limite di questi interni che fanno da palcoscenico all'intero racconto. Certo alla lunga l'escamotage ciclico rischia parzialmente di autocompiacersi, quasi a trasformare quel meccanismo a orologeria in un qualcosa di involontariamente prevedibile, giacché lo spettatore finisce per aspettarsi davvero di tutto non appena comprese le logiche che stanno alla base della, a conti fatti soltanto in apparenza, intricata sceneggiatura.

Una partita d'astuzia

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Zoey Deutch e Mark Rylance in una scena di The Outfit

Non è un caso che l'esordiente regista Graham Moore abbia un passato da scrittore e sceneggiatore, tanto da aver vinto l'Oscar per lo script di The Imitation Game (2014). In The Outfit riversa i suoi contorsionismi narrativi in un'operazione colta e leggera al contempo, come detto vanesia ma gradevole nel suo porsi a un pubblico più vasto del previsto, con quella costante voglia di stupire che tiene incollato allo schermo anche chi potenzialmente restio a vicende così circostanziate. In questa storia così giocata sulle interpretazioni e sui personaggi non poteva mancare un protagonista d'eccezione. Se il resto del cast è puramente accessorio - ma comunque apprezzabili le performance di Zoey Deutch, Johnny Flynn e Dylan O'Brien - a spiccare è ovviamente un gigantesco Mark Rylance, che tra monologhi fuori campo e sguardi che tutto nascondono offre una nuova interpretazione memorabile, decisa e sopraffina, che eleva ulteriormente l'anima psicologica del racconto.

Conclusioni

Un tranquillo sarto di mezz'età - anche se lui preferisce farsi chiamare tagliatore - si ritrova al centro di una serie di eventi rocamboleschi quando la sua piccola bottega diventa il teatro della resa dei conti tra bande criminali. The Outfit è un godibile puzzle ambientato in un solo luogo, con il negozio del protagonista che diventa teatro di situazioni di stallo e dialoghi rivelatori, in un gradevole e raffinato esacerbarsi di colpi di scena, dove l'alpha e omega è incarnato da un magnifico Mark Rylance, ancora una volta impeccabile come i vestiti che crea il suo personaggio.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Mark Rylance ruba la scena dall'inizio alla fine.
  • L'unica ambientazione viene sfruttata con intelligenza.
  • La sceneggiatura è ricca di colpi di scena...

Cosa non va

  • ...che alla lunga possono risultare forzati, epilogo in primis.