Come avevamo già detto parlando dei primissimi episodi di The Orville, la serie creata da Seth MacFarlane oggi arrivata alla seconda stagione di cui ci accingiamo a parlare in questa recensione del primo episodio di The Orville 2, era, già in partenza, una scommessa molto peculiare: da un lato, era la prima volta, sul piccolo schermo e in quanto autore, che l'irriverente umorista si allontanava dal format animato; dall'altro, veniva accantonato anche il modello delle gag in rapida successione, privilegiando un tipo di racconto che permettesse agli eventi e ai personaggi di respirare, senza dover per forza inserire una battuta scatologica o un rimando alla cultura popolare ogni venti secondi.
Questo perché MacFarlane, oltre ad essere un patito dell'animazione (da anni cerca di riportare in televisione i Flintstones), è anche un fan sfegatato della fantascienza in generale e di Star Trek in particolare (non a caso uno dei suoi collaboratori regolari è Patrick Stewart). La sua nuova serie è pertanto un omaggio sincero alla creazione di Gene Roddenberry, con l'aggiunta di sprazzi di Ai confini della realtà, e ciò era al contempo la sua forza e la sua debolezza nelle primissime fasi: un ibrido tra due sensibilità, in cerca di un equilibrio su cui reggersi a lungo termine.
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Un equilibrio che, a detta di alcuni spettatori e critici americani, fu raggiunto quasi subito, portando una parte della stampa a ritenere che The Orville fosse più vicino allo spirito di Roddenberry rispetto a Star Trek: Discovery, che ha esordito nel medesimo periodo (e torna sugli schermi quasi in contemporanea). Alle risate si alterna uno spirito di avventura genuino, senza tocchi particolarmente parodistici, abbinato a una volontà di esplorare seriamente tematiche filosofiche ed umanistiche come ai tempi dei viaggi di James T. Kirk e del suo equipaggio. Una miscela che si è evoluta nei mesi di messa in onda della prima stagione, partendo dal pilot affidato a Jon Favreau e arrivando all'ottimo finale diretto da Brannon Braga, una delle firme storiche del franchise di Roddenberry. Dodici episodi durante i quali abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare l'equipaggio della Orville, sia nei momenti drammatici che in quelli comici.
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Un rituale strano
Il primo episodio della seconda stagione, intitolato Ja'loja, sfrutta l'evoluzione dei personaggi nelle puntate precedenti per regalarci una premiere dove la componente spettacolare in senso stretto non c'è, focalizzandosi invece sulle dinamiche tra i vari membri dell'equipaggio. Un'idea che Seth MacFarlane, qui chiamato in causa come sceneggiatore e regista (nonché interprete principale), può permettersi di applicare alla premiere, tradizionalmente un capitolo dove accade qualcosa di epocale per attirare l'attenzione del pubblico, è riuscito ad ottenere quella formula quasi perfetta, molto classica, dove ha più senso ricordarci perché ci divertiamo a seguire, ogni settimana, le avventure di Ed Mercer, Kelly Grayson e compagnia bella (ma va detto che la strategia dell'autore non è del tutto volontaria, aspetto su cui ritorneremo). E lo fa con un escamotage narrativo che funziona nonostante il suo essere apparentemente fuori luogo: il titolo si riferisce ad una cerimonia rituale che ha luogo ogni anno su Moclus, il pianeta natale di Bortus. Cosa comporta tale cerimonia? Ebbene, è legato a un dettaglio fisiologico dei moclani, già menzionato en passant nella scorsa stagione: fanno pipì solo una volta all'anno.
È evidente l'intento di deformare in chiave (leggermente) dissacrante il rituale di accoppiamento dei vulcaniani, elemento imprescindibile della mitologia di Star Trek, ma l'aspetto più notevole della premessa (che in realtà occupa solo i primi e gli ultimi minuti dell' episodio) è che MacFarlane non la tratti veramente come una gag. Certo, si sorride, ma è un dettaglio come gli altri nel contesto di un episodio interamente dedicato alla relazioni interpersonali, che si tratti di rapporti amorosi o semplicemente familiari. Rapporti attorno ai quali MacFarlane costruisce un racconto volutamente sottotono, senza battaglie o esplosioni, sfruttando l'impatto drammaturgico delle dodici puntate precedenti per dare alla sua space opera catodica un (lungo) momento più intimo, fatto di dialoghi brillanti e interpretazioni impeccabili. Tra queste c'è anche quella dello stesso creatore, la cui ricerca di un equilibrio tra serio e faceto si applica anche alla sua performance nei panni del capitano. La relazione tra Mercer e l'ex-moglie è sempre stata una buona fonte di risate, e in questo caso si va un po' oltre, tratteggiando un'amicizia fragile che le due parti non vedono allo stesso modo (e checché ne dica il comandante della Orville, un eventuale ricongiungimento sentimentale alla Ross e Rachel non sarebbe una buona idea, a livello drammatico e umoristico).
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Eventi disordinati
Come abbiamo accennato in precedenza, la scelta di rendere questo episodio la premiere di stagione non è stata del tutto ponderata da parte degli autori: a livello strettamente cronologico, questa sarebbe la seconda puntata, a ruoli invertiti con l'episodio successivo, che doveva essere il finale della prima annata e poi fu spostato a quella attuale. Un episodio più "tradizionale", con sequenze epiche dal sapore cinematografico, ma anche con una storyline ancora più buffa (per quanto seria) incentrata su Bortus, il quale trascura la moglie per vivere le proprie fantasie tramite ologrammi hot (era inevitabile, conoscendo MacFarlane, che si andasse a parare lì). La mancanza di una continuity forte tra un episodio e l'altro ha reso possibile lo scambio, che ha giovato allo show: per quanto involontario, lo stratagemma per la premiere ha ulteriormente messo in evidenza la versatilità di un programma capace di spaziare da un tono all'altro, mescolando action, humour e pathos in modo talvolta imprevedibile. Andando avanti così, si prospettano vette quasi inedite, là dove nessuna creatura televisiva di MacFarlane era mai andata prima.
Movieplayer.it
4.0/5