Miguel Montessanti, agente delle forze di polizia brasiliane, è divorziato dalla moglie Isabela con cui condivide la custodia della figlia Alice. Quando la bambina viene colpita e uccisa da una pallottola vagante, Miguel sprofonda nella disperazione. La tragedia personale si intreccia con quella sociale: il governatore dello stato Sandro Correa viene arrestato per aver rubato milioni dalle casse della sanità pubblica, ma quasi immediatamente torna in libertà, dichiarando cinicamente in televisione che nessun centesimo è stato sottratto alle tasche dei cittadini.
In The Nightwatcher Miguel, devastato e mosso da una rabbia cieca, decide che è arrivato il momento di prendere la giustizia nelle proprie mani e di farla pagare a quella classe politica che continua a lucrare sulle spalle della povera gente. Indossando una maschera antigas, trovata per caso durante una sommossa, e un cappuccio nero, si trasforma in un giustiziere mascherato, pronto a eliminare i potenti uomini corrotti che controllano la città.
La genesi di The Nightwatcher
Il fumetto alla base era stato pubblicato per la prima volta nel 2013, ma soltanto cinque anni dopo è uscito quest'adattamento per il grande schermo, a qualche mese di distanza dalle elezioni presidenziali brasiliane del 2018, che siglarono la controversa vittoria di Bolsonaro. Il film sfruttò così l'onda "favorevole" di un momento storico esplosivo nella storia del Pese, ancora diviso tra chi urlava contro la dilagante corruzione e chi vedeva nella violenza reazionaria una pericolosa deriva antidemocratica.
Non che la sceneggiatura di The Nightwatcher vada troppo per il sottile, sprecando almeno in parte gli spunti che restano soltanto in superficie, limitandosi ad una sorta di versione autoctona del ben più famoso personaggio Marvel di The Punisher, senza però il carisma che l'iconico Frank Castle si porta dietro sin dalla sua creazione. E i cento minuti di visione, pur scorrevoli nelle loro dinamiche di genere, sembrano non essere mai veramente sovversivi come vorrebbero.
Un film a metà: crisi d'identità
Il problema principale, un problema non da poco, risiede nella sua profonda incertezza morale. Il film cova infatti l'ambizione di aspirare a incarnare sia un action movie spettacolare sulla scia dei moderni cinecomic Marvel/DC, sia una riflessione etica sulla vendetta, sulla giustizia e sui presunti limiti della democrazia. Ma nel suo accumulo di toni e umori perde progressivamente il filo, così come quel protagonista che a un certo punto diventa una cieca macchina da guerra senza più etica od obiettivi, dilapidando quel potenziale che pur era presente nella sua tormentata genesi.
Certamente l'interpretazione monolitica di Kiko Pissolato, fisico massiccio e sguardo costantemente incarognito, non aiuta a entrare in comunione empatica con questo antieroe che funziona meglio con la maschera indosso. Per quanto il travestimento abbia origini alquanto casuali, il character design funziona al punto giusto e pose plastiche e scene d'azione possono contare su un certo appeal di genere, con la regia di Gustavo Bonafé a regalare una manciata di sequenze non disprezzabili per gli amanti del filone.
Il palcoscenico della vendetta
Se la storia come detto fatica a esprimere pienamente i molteplici spunti, la messa in scena risulta così efficace quanto basta, con la stessa città di San Paolo viene trasformata in una sorta di Gotham esotica, con grattacieli illuminati da neon blu e viola, dove ha luogo la personalissima missione del Nostro, pronto a punire quel sistema che ritiene colpevole per via della tragedia personale da lui affrontata.
Lo vediamo impegnato in coreografie violente ma chiare e relativamente realistiche: Miguel non è un supereroe con incredibili poteri ma un uomo qualunque, addestrato per via della sua esperienza nella polizia ad usare armi da fuoco e nel combattimento corpo a corpo. La sua spalla, la giovane ed esperta hacker Nina che guarda caso lavora in una fumetteria, è la voce della coscienza, che cerca di controllare le derive estreme di un protagonista che non ha più niente da perdere ed è pronto a tutto.
In una storia che si muove a spron battuto verso l'esplosivo finale, per poi espandersi ulteriormente nella successiva serie televisiva in sette episodi, al fine di ampliare questo nuovo universo cinecomic sicuramente imperfetto ma non del tutto disprezzabile.
Conclusioni
Ci troviamo davanti ad un'operazione che avrebbe voluto essere sia il primo grande cinecomic brasiliano sia riflesso inquietante dei tempi nei quali è stata sviluppata, con l'antecedente fonte fumettistica altrettanto specchio della società locale, consumata dalla corruzione e dalla violenza. Un tentativo che non è andato pienamente a segno, risultando sbilenco e indeciso nella sua vena giustizialista, tra istinti reazionari e sussulti moralisti, affidando al protagonista / vendicatore il compito di incarnare le anime di un Paese in profonda crisi. Se la narrazione non convince al cento per cento, l'efficace messa in scena e le buone coreografie d'azione, con un vigilante dal look sui generis che indossa maschera antigas e cappuccio, possono intrattenere senza troppe difficoltà il principale target di riferimento.
Perché ci piace
- Coreografie action sono avvincenti ed efficaci.
- Ambientazione suggestiva, soprattutto nelle scene notturne.
Cosa non va
- Un'ambiguità morale a tratti confusa.
- Protagonista monodimensionale quando non indossa la maschera.