The Last Days of American Crime, recensione: l’apoteosi dell’action mediocre targato Netflix

Recensione di The Last Days of American Crime, adattamento dell'omonimo fumetto, disponibile su Netflix.

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The Last Days of American Crime: una scena con Edgar Ramírez

È difficile, scrivendo la recensione di The Last Days of American Crime, non pensare al curioso tempismo di questo nuovo film d'azione disponibile su Netflix: il lungometraggio basato sull'omonima graphic novel debutta infatti il 5 giugno, mentre gli Stati Uniti sono in preda a una crisi quasi senza precedenti, con proteste contro la violenza delle forze dell'ordine per l'ennesima uccisione a sfondo razziale e il governo che evoca strategie apertamente dittatoriali per contenere la situazione. Da quel punto di vista è curioso avere sulla piattaforma di streaming un film la cui premessa ruota attorno a un sistema che dovrebbe porre fine a ogni azione criminosa sul suolo statunitense, dando però una certa impunità ai poliziotti. Sarebbe quasi il progetto ideale per avviare una discussione più approfondita sul tema, se non fosse che, per l'ennesima volta, abbiamo a che fare con un action piuttosto anonimo e vuoto, privo di mordente anche per quanto riguarda le macrosequenze.

Un mondo senza crimine?

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The Last Days of American Crime: una scena

The Last Days of American Crime porta sullo schermo la storia immaginata da Rick Remender (noto sceneggiatore di diversi fumetti Marvel) e Greg Tocchini nel 2009, e immagina uno scenario distopico molto intrigante, che va in una direzione diversa rispetto ad esempio a La notte del giudizio: mentre quest'ultimo propone un periodo di dodici ore in cui ogni reato è legale, riducendo la criminalità nei giorni rimanenti dell'anno, il film di Olivier Megaton parla di un segnale che agisce a livello fisiologico, rendendo impossibile le violazioni consapevoli della legge. Una sorta di condizionamento alla Arancia meccanica su scala nazionale (la cosa riguarda l'intero territorio USA), il che spinge Bricke (Edgar Ramirez) a tentare un ultimo grande colpo nei sette giorni che mancano prima dell'attivazione del sistema, in un futuro non troppo lontano (stando alle indicazioni del lungometraggio stesso, siamo nel 2025). Ma sarà davvero la fine dei comportamenti fuorilegge? Non ci sarà un modo di aggirare il sistema?

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Un film tutto chiacchiere, ma senza distintivo

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The Last Days of American Crime: Edgar Ramírez e Anna Brewster in una scena

La sceneggiatura del film è stata affidata a Karl Gajdusek, già co-autore del copione di Oblivion e showrunner della prima stagione di Stranger Things, e c'è il sentore di un'operazione che forse avrebbe funzionato meglio in forma seriale, suddiviso in capitoli, rendendo meno faticosa una struttura che, tra premessa e personaggi, passa fin troppo tempo in mezzo a dialoghi al contempo farraginosi e incredibilmente superficiali. Non aiuta, in questo caso, la regia di Megaton, cineasta francese che, nomen omen, si è spesso prestato a progetti teoricamente ipertrofici come Taken: la vendetta, Taken 3 - L'ora della verità e Colombiana, ma con risultati tutto sommato privi di veri megatoni. Anche qui il regista non si smentisce: i momenti che sulla carta sarebbero forti ci sono, ma perdono tutto il loro mordente tra scelte di montaggio che nullificano l'adrenalina e una collocazione all'interno del film stesso che non fa altro che sottolineare la struttura squilibrata di un progetto che, fatta eccezione per due o tre momenti davvero riusciti, parla a vanvera e poi spara a salve (in senso figurato).

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The Last Days of American Crime: Michael Pitt in una scena

Il tutto è talmente esanime che persino l'elemento più promettente - Michael Pitt in modalità folle come gli riesce benissimo in molti dei suoi ruoli più memorabili - risulta smorzato, trasformato in una fastidiosa macchietta che cerca di spezzare la monotonia urlando a squarciagola e scontrandosi con il più stoico Ramirez. Attorno a loro Megaton cerca di creare un mondo non tanto diverso dal nostro, ma la scarsa incisività della scrittura rende nulla ogni analisi socio-politica proposta dalla premessa, lasciandoci con due ore e mezza di trovate convenzionali che non vanno mai al di sotto della superficie, riducendo al minimo indispensabile anche la nozione filosofica più interessante, che sarebbe appunto quella del potere della polizia in una società dove il crimine è fisiologicamente impossibile da commettere. In tal senso, la partecipazione di Netflix è forse la cosa migliore capitata al progetto, il cui anonimato contenutistico e formale sarà di casa nei meandri dell'algoritmo, senza scomodare le sale dove un'idea simile avrebbe maggiori potenzialità in mano a una realtà produttiva come la Blumhouse.

Conclusioni

Eccoci arrivati al termine della recensione di The Last Days of American Crime, un percorso faticoso quasi quanto il film stesso, che spreca un'ottima premessa tra dialoghi pesanti e sequenze d'azione che fanno il minimo indispensabile, e talvolta anche meno. Da quel punto di vista, l'ideale per l'abbonato medio di Netflix in cerca di qualcosa di non troppo impegnativo e non troppo diverso da altre cose su argomenti simili.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
1.9/5

Perché ci piace

  • Edgar Ramirez dà il massimo in un ruolo prevedibile ma simpatico.
  • L'idea di base è molto interessante.
  • Michael Pitt gigioneggia come al suo solito...

Cosa non va

  • ... Ma senza l'equilibrio tra eccentrico e irritante a cui siamo abituati.
  • La scrittura è molto farraginosa e al contempo superficiale,
  • Le scene action lasciano molto a desiderare.