Con la recensione di The Domain (in originale A herdade) chiudiamo il secondo capitolo extralarge del concorso della 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 2019: il quarto lungometraggio del cineasta portoghese Tiago Guedes (veterano di San Sebastián e Torino) dura infatti 164 minuti, il che lo rende, insieme ai 169 di The Painted Bird, l'opera più lunga tra quelle che nel 2019 hanno partecipato alla corsa al Leone d'Oro. In questo caso, però, la lunghezza è meno punitiva, poiché laddove il film ceco punta su un ritratto forte e spesso respingente del peggio dell'umanità in ambito bellico, Guedes punta invece su un intreccio più classico, condividendo con l'altro lungometraggio solo l'uso della Storia del suo paese come sfondo per le drammatiche vicende che intende raccontare.
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Una trama all'insegna della famiglia
La storia di The Domain si situa su una vasta proprietà sulla riva meridionale del fiume Tago, nel centro-sud del Portogallo. Qui vive João Fernandes (Albano Jerónimo), che in tenera età ha assistito al ritrovamento di un cadavere sui terreni di famiglia. Lo ritroviamo poi negli anni Settanta, quando è diventato il proprietario della tenuta, che gestisce principalmente con l'ausilio del braccio destro Joaquim (Miguel Borges). Mentre altri membri della famiglia, tra cui i suoceri, sono colpiti da ciò che accade nel paese, João rimane impassibile, rifiutando di schierarsi e arrivando persino a considerare la propria casa una sorta di città-stato, indipendente dal resto del Portogallo. Col passare degli anni, alcune delle sue decisioni avranno conseguenze di un certo peso, soprattutto per quanto riguarda il futuro della tenuta e il rapporto con i figli.
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Tiago Guedes opta per un approccio molto classico, mescolando piacevoli atmosfere bucoliche, stralci di commento storico e momenti di violenza, soprattutto verbale, che affliggono i protagonisti di una saga generazionale che racconta uno spaccato di vita portoghese che attraversa alcuni decenni (la storia si conclude nel 1991). La durata generosa, in tal senso, è un valore aggiunto che dà al racconto la possibilità di respirare mentre pone le basi per una riflessione socio-politica che unisce il privato e l'universale, rendendo la tenuta un microcosmo che al contempo racchiude l'evoluzione di tutta una nazione e diventa anche lo specchio di preoccupazioni che sono ancora attuali, all'interno di una struttura drammaturgica convenzionale ma nel complesso efficace.
Parenti serpenti
Dove il film perde colpi, a tratti, è in alcune soluzioni narrative con dinamiche quasi da soap opera, che banalizzano quello che altrimenti è un solido ritratto di famiglia sullo sfondo di una nazione in tumulto. Anche in quei casi, però, l'operazione non si perde completamente per strada grazie a un cast che riesce a dare credibilità anche ai momenti più telefonati e schematici. La parte del leone spetta ovviamente ad Albano Jerónimo che invecchia plausibilmente nel corso delle quasi tre ore del racconto, ma non sono da meno i giovani interpreti a cui sono stati affidati i ruoli della nuova generazione, quella che in un'ipotetica prosecuzione sulla falsariga di Heimat dovranno raccogliere il lascito dei padri (d'altronde il titolo originale, che si riferisce in senso stretto alla tenuta, si accosta anche al concetto di eredità). Difficilmente accadrà, anche perché Guedes imposta una chiusa a suo modo perfetta e coerente, per lo meno sul piano iconografico, lasciandoci con un ricordo globalmente positivo al termine di questo lungo viaggio in ciò che era una volta il Portogallo.
Conclusioni
Giunti al termine della nostra recensione di The Domain l'impressione è globalmente positiva, al netto di alcune soluzioni narrative troppo scontate all'interno di quello che sulla carta è un tutt'altro che banale affresco di ciò che è stato in Portogallo nei decenni scorsi, raccontato attraverso il coinvolgente microcosmo di una famiglia che vive in un mondo tutto suo.
Perché ci piace
- La fotografia è calda e affascinante.
- Gli interpreti sono tutti molto convincenti.
- La componente storica, per quanto sullo sfondo, è avvincente.
Cosa non va
- Alcune scelte narrative lasciano un po' a desiderare.
- La durata molto generosa potrebbe scoraggiare parte del pubblico.