Diciamolo tranquillamente: fino all'anno scorso, vedere selezionato nel concorso del Festival di Roma un film come Lesson of the Evil sarebbe stato impensabile. La prestigiosa ma già discussa gestione di Marco Muller ha portato, come primo "regalo" ai cinefili più attenti, l'ultima opera del regista di culto per eccellenza, quello che, col suo sguardo radicale e con una prolificità che (caso rarissimo) non ha mai intralciato la qualità, ha saputo conquistarsi la stima di uno zoccolo duro di spettatori, che lo segue film dopo film. Questa sua ultima opera, tratta da un romanzo di Yusuke Kishi molto conosciuto in Giappone, si è rivelata coerente con la sua poetica, capace di spiazzare lo spettatore, cambiando faccia più volte nel corso della sua durata pur partendo da un'impostazione narrativa piuttosto classica. "Sono felice di trovarmi qui per la prima volta a Roma, spero di riuscire a tornare sano e salvo in Giappone dopo la proiezione ufficiale!", ha scherzato il regista, introducendo l'incontro con cui ha presentato il suo film ai giornalisti presenti all'Auditorium. Con lui, i due protagonisti Hideaki Ito e Erina Mizuno.
Tutta la sua carriera è volta alla ricerca dell'estremo. Crede che questa ricerca potrà portare ulteriori risultati, ulteriori "estremi"? Takashi Miike: Sì. Anche nell'ultimo anno ho fatto molti film, e mi è stata data molta libertà. Io voglio cercare non di proteggere la mia carriera, ma di distruggerla e farne qualcosa di nuovo. Voglio qualcosa di ancora più affilato, anche se magari potrebbe non essere compreso da chiunque. Ma è qualcosa deve valere per me, innanzitutto.
Cosa intendeva quando ha detto che spera di tornare in Giappone senza problemi?
Potete prenderlo come uno scherzo, ma in effetti sento una certa insicurezza. Alcune ore dopo la proiezione ufficiale qui a Roma, il film verrà proiettato nelle sale giapponesi. Se non dovesse essere preso bene dal pubblico giapponese, sono d'accordo con Muller: resterò qui e avrò asilo politico!
Hideaki Ito: Nel romanzo, il protagonista ha delle psicopatologie molto forti, cosa che io non sentivo; entrare nella sua ottica è come tifare per il carttivo, per un criminale. L'ho dovuto letteralmente creare, quindi, insieme al regista: ma devo dire che è stato anche un grande divertimento.
Erina Mizuno: Per il mio ruolo, ho cercato di unire logica ed emotività, due cose che in genere non vanno d'accordo. L'alunna che interpreto viene presa in giro da Hasumi, e per questo è facile che alcuni spettatori provino sentire simpatia per lei. In che misura è stato usato il digitale? Takashi Miike: Gli effetti speciali, in Giappone, non sono molto sviluppati, siamo rimasti sostanzialmente fermi a 50 anni fa. Noi abbiamo cercato, con la computer grafica, di dare al film un retrogusto particolare, trasmettendo però ad essa un'accezione analogica.
La parte del fucile che si trasforma sembra fortemente influenzata da David Cronenberg...
Io sono un grandissimo fan di Cronenberg, lui ha una intelligenza notevole, con la quale è riuscito a trascendere l'essenza stessa dei film. Influenze del suo lavoro ci sono state, anche nella percezione del quotidiano: ma va detto che lo spunto non è suo, ma dell'autore del romanzo. Inconsciamente, magari, posso aver assorbito moltissimi altri spunti, tra i quali ovviamente quello di Cronenberg.