Semplicità. È questo che è emerso principalmente come concetto alla base del modus operandi di Stephen Frears, apprezzatissimo regista inglese che ha presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma la sua ultima fatica, The Lost King; incontrando poi il pubblico per ripercorrere la sua carriera e il suo rapporto con la famiglia reale, che ha dipinto magistralmente in The Queen con Helen Mirren, e con il governo britannico. Tutto è partito dal suo primo successo My Beautiful Laundrette (1985), pellicola girata in 16 mm a basso budget e primo successo della rete televisiva Channel 4 che produceva anche lungometraggi attraverso la branca Film4. Il film fu presentato al Festival di Edimburgo per avere subito un tale successo che decisero di azzardare un'uscita in sala... e fecero altrettanto centro. Nacque così la cosiddetta British Reinassance, una rifioritura del cinema inglese dell'epoca. My Beautiful Laundrette nasceva da una sceneggiatura di Hanif Kureishi, autore anglo-pakistano all'epoca alle prime armi, oggi molto noto: "Ricevetti una sua telefonata e non sapevo fosse anglo-pakistano. Voleva mandarmi lo script, me lo mandò, lo trovai molto brillante e per miracolo riuscimmo a farci un film con sole 500.000 sterline".
L'importanza della sceneggiatura
La sceneggiatura e gli interpreti sono gli elementi più importanti per Stephen Frears, perché c'è bisogno di una solida base di scrittura per un film e il pubblico secondo lui si rapporta agli attori e non a chi sta dietro la macchina da presa. "Soprattutto perché non scrivo mai i miei film, e ho bisogno di leggere la sceneggiatura non il soggetto altrimenti non capisco, sono come un bambino" scherza il regista, rimasto sempre composto durante l'incontro come l'aplomb inglese vuole, utilizzando molto british humour. Sulla scoperta di Daniel Day-Lewis, che all'epoca di My Beautiful Laundrette era abbastanza sconosciuto, dice: "Se vuoi far interpretare bene un proletario, cerca nell'alta borghesia". Tutto si svolge con grande semplicità secondo Frears, come il costruire la lavanderia del film togliendo semplicemente il verde che c'era prima in quella location. Non si aspettavano nemmeno il successo avuto, dato il low budget impiegato per realizzarlo senza alcun precedente: "Lo abbiamo realizzato con grande innocenza, senza farlo per avere successo, ma guardando indietro effettivamente gli elementi c'erano. Basti dire che aveva un compositore (Hans Zimmer, ndr) e un produttore (la Working Title, etichetta specializzata in cinema indipendente) che diventeranno di fama mondiale e nel Regno Unito rispettivamente". I due film successivi Prick Up - l'importanza di essere Joe e Sammy e Rosie vanno a letto, entrambi dell'87, fanno parte insieme a My Beautiful Laundrette, della cosiddetta Trilogia sul periodo Margaret Thatcher, di cui però Frears preferisce non parlare: "Perché dobbiamo parlare di una cosa così triste come la Thatcher" - scherza sornione - "era una donna molto potente, e guardando indietro aveva degli elementi consistenti per farsi attaccare: gli omosessuali e le donne (spesso al centro dei film del regista, ndr) rappresentavano il simbolo dell'opposizione di quel periodo politico terribile, e infatti la Thatcher non li amava particolarmente". Aggiunge poi: "Possiamo definirlo un governo bastardo, sì. Ma per essere giusti in fondo è la Thatcher che ci ha permesso di realizzare questi film proprio perché volevamo andare contro di lei. Diventammo in un certo senso dei thatcheriani, dei piccoli imprenditori come lei avrebbe voluto. Per una nuova ondata di cineasti inglesi ci vorrebbe un'altra Thatcher" (ride).
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Tra cinema, tv e Hollywood
Stephen Frears non ha mai disegnato la televisione, anzi ci ha lavorato in diversi progetti soprattutto agli esordi, e la sua poetica ha un grande debito col free cinema: "È stato un grande privilegio lavorare con loro, erano molto intelligenti, ho preso spunto da loro ma mantenendo una mia indipendenza. Venivano dal neorealismo italiano e avevano un proprio lignaggio, come Lindsay Anderson. Ho preso sicuramente ispirazione anche dal cinema classico hollywoodiano, come John Ford e Billy Wilder, sono cresciuto con quei film e mi hanno fatto il lavaggio del cervello" (ride). "Non mi sono mai visto come un autore, ma come regista, c'è scritto anche sul mio passaporto" (ride). A quel punto della carriera di Frears arriva il primo film ad alto budget fatto a Hollywood, Le relazioni pericolose (1988) dall'omonimo romanzo e opera teatrale, con protagonisti John Malkovich, Glenn Close e Michelle Pfeiffer. Nello stesso periodo Miloš Forman stava adattando sempre dallo stesso romanzo di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos quello che sarebbe diventato il suo Valmont: "Non mi sono mai sentito in competizione, lui è stato solo sfortunato che abbiamo vinto noi come successo". (ride). Un film che ebbe una fortuna incredibile, come la chiama il cineasta, in tutto si incastrò alla perfezione: dallo sceneggiatore Christopher Hampton che riceverà l'Oscar per l'adattamento (lui è lo stesso di The Father e The Son) al costumista James Acheson che vinse l'ambita statuetta grazie al lavoro nella pellicola. Segue un altro lungometraggio sulle tematiche care a Frears, Rischiose abitudini (1990), con due "regine cattive" shakesperiane come Angelica Huston e Annette Bening dopo la Close e la Pfeiffer.
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Le donne al centro
Ricorrenti nella filmografia di Stephen Frears sono le figure forti femminili, che a volte danno anche il titolo ai suoi film, come The Queen, Philomena, Florence, Chérie e Lady Henderson Presenta (2005), quest'ultimo con Judy Dench che tormenta Bob Hoskins per tutto il film. "Non conosco nient'altro che donne forti che mi hanno cresciuto e circondato nella mia vita, ecco il perché della loro forte presenza nei miei film. Quando iniziai a lavorare con Judy, fu subito una grande interprete e quindi continuammo a fare film insieme". Anche nell'ultimo film presentato alla Festa del Cinema di Roma, The Lost King, Frears ha lavorato con un personaggio femminile interessante e sfaccettato: la Philippa Langley di Sally Hawkins. Una pellicola ambientata a Leicester, città natale del cineasta: "È stato un film di vendetta" (ride), scritto da Steve Coogan, che nel film interpreta l'ex marito di Philippa. "Uno degli aspetti più interessanti di questa storia era che i resti fossero stati trovati su un'intuizione di Philippa, e simbolicamente sotto una R. Come dimostrato dalle analisi sui resti, soffriva di scogliosi, era una condizione medica, non era gobbo e cattivo come lo ha dipinto Shakesperare, che faceva propaganda per i Tudor. Ero contento all'idea di poter attaccare un grande autore come Shakesperare con questo film" (ride). È stato poi il turno di Geena Davis, e soprattutto Dustin Hoffman, in Eroe per caso (1992), un film che lui considera un disastro (e non fu un grande successo) poiché non riuscì ad adattarsi al grande circo hollywoodiano, come lo definisce lui: "Volevo iniziare con un film catastrofico per poi finire nel dramedy". Per Frears Hollywood è un posto complicato ma la soluzione per non farsi fagocitare da quel mondo è semplicemente "tornare a casa". Ancora una volta la semplicità la fa da padrone nel suo cinema come nella sua vita.
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Stephen Frears e l'Arsenal
Frears è un grande tifoso di calcio e nello specifico dell'Arsenal, proprio come il protagonista di Febbre a 90°, il film di David Evans tratto dal romanzo di Nick Hornby, il cui romanzo Alta Fedeltà ha invece ispirato l'omonima pellicola di Frears (2000) con protagonista John Cusack, che ha fortemente voluto il regista nel progetto: "È stato lui a cercarmi, abbiamo deciso di ambientare la storia a Chicago e non avrei mai potuto ambientarla a Londra come nel libro". In Alta Fedeltà fa un cameo Bruce Springsteen che era molto nervoso all'idea di recitare: "Fu mio compito calmarlo prima delle riprese. In quel film scoprii Jack Black, il Daniel Day-Lewis dei giorni nostri". Non poteva non essere nominato durante l'incontro il suo rapporto con la storia della famiglia reale inglese, che ha spaziato in molti suoi lavori tra cui ovviamente The Queen (2006): "C'erano dei precedenti. Avevo fatto un film su Tony Blair prima di The Queen". Gli era simpatica la regina Elisabetta II, da poco scomparsa: "Era l'unica persona interessante della famiglia, gli altri sono tutti ridicoli. L'istituzione in sé è incredibilmente ridicola, allo stesso tempo durante la produzione la sentivamo come nostra madre, è una donna straordinaria che ha lasciato che tutti proiettassero su di lei la loro immaginazione".
Anche Peter Morgan (il creatore di The Crown oltre che sceneggiatore del film, ndr) scrivendo la sceneggiatura pensava fosse più interessante lei di quanto accaduto nel tunnel a Diana. Che Dio ci aiuti senza di lei nel mondo reale_". Per il casting si affida ai responsabili fidati di quel reparto, altrimenti finisce come per My Beautiful Laundrette in cui scelse i due protagonisti al posto di Tim Roth e Kenneth Branagh. Frears chiude l'incontro nella più totale semplicità: "Un consiglio per giovani cineasti? È vero che un cellulare oggi vi permette di fare un film. E allora fatelo, e poi fatene un altro, e così via. Non c'è nessun altro passaggio segreto che io vi possa svelare". Il regista inglese si affida ai direttori di casting così come agli sceneggiatori, che sono spesso scrittori o drammaturghi, lascia che gli attori entrino nei panni dei personaggi, non ha grandi richieste anzi si fa aiutare da loro, e bisogna sapere quando fermarsi nell'epilogo come altri non sanno effettivamente fare. Bisogna affidarsi a dei collaboratori talentuosi e fidati. "In fondo è quello che ho sempre fatto io. Ricevo una sceneggiatura, la leggo e se la trovo valida ci faccio un film. Alcuni script mi sono arrivati nella buca delle lettere, come fece Kureishi. Se volete chiedermi l'indirizzo di casa, ecco questa sì che è una domanda interessante!". Ride. Sipario.