Certi franchise non muoiono mai per davvero, soprattutto se fanno parte di un periodo leggendario come quello dell'Antica Roma. Ne sa qualcosa Spartacus che dopo più di un decennio torna con un nuovo spin-off che parte da un pretesto ed un universo alternativo.
Quella degli Antichi Romani è infatti un'era storica che permette di muoversi tra il fantasy e il mito, giocando con personaggi e intrighi di palazzo e mettendo in scena ancora una volta una lotta per la sopravvivenza senza pari, come avviene in House of Ashur arrivata su MGM+, Channel di Prime Video e Mediaset Infinity.
Spartacus: House of Ashur, tutto parte da un grande "e se"
In questo mondo re-immaginato da Steven S. DeKnight, di nuovo alle redini della propria "creatura", Ashur non è morto per mano di Naevia. Nell'Aldilà incontra Lucrezia (Lucy Lawless) che gli concede una seconda possibilità, nello spirito della mitologia romana. Torna quindi sulla Terra non come ex schiavo ed ex storpio ma come Dominus, che è riuscito a comprare la Casa del suo precedente padrone Batiato.
I Romani hanno ricompensato il suo tradimento con il Ludus che addestra gladiatori per l'arena. Da qui il titolo dello spin-off che ricorda molto House of the Dragon e tutte le serie basate su grandi e antiche casate: peccato che questa volta si tratti di un ribaltamento dei ruoli, dato che lui è un ex schiavo e ora tratta i suoi sottoposti, a partire dall'allenatore Korris (Graham McTavish), come un tempo veniva trattato lui. Una sorta di corso e ricorso storico da cui è difficile uscire. Il what if quindi è un'idea funzionale e coerente al contesto di mito e leggenda, ma forse avremmo voluto piuttosto qualcosa di nuovo, benché collegato al passato.
Sesso, soldi e potere: gli ingredienti del successo
In questa storia di riscatto si parla ancora una volta di divario economico-sociale, e di lotta per la libertà e per i diritti degli uomini, come la figura di Spartacus insegna. Si parla ovviamente di potere e denaro: la classe aristocratica non vede di buon occhio il protagonista nonostante abbia fatto il salto di qualità; o forse, non lo sopportano proprio perché è riuscito a farlo. Questo suo bisogno di innalzarsi rispetto agli altri viene ripagato insomma con la stessa moneta.
Per guadagnarsi il proprio spazio nell'arena proponendo uno spettacolo nuovo e originale, Ashur pensa di ingaggiare la prima gladiatrice donna, Achillia (Tenika Davis), e alzare così la posta in gioco. Ciò che viene accolto inizialmente con diffidenza diviene presto motivo di chiacchiericcio e battaglie all'ultimo sangue.
Una messa in scena degna delle precedenti
A proposito di sangue, Spartacus: House of Ashur continua il percorso imbastito nelle stagioni precedenti, complice lo stesso showrunner dietro le quinte. Il serial reitera ancora una volta l'estetica che strizza l'occhio a 300 di Zack Snyder: attenzione della macchina da presa per i corpi, sangue e splatter fumettoso in ogni inquadratura, rallenti e coreografie action fluide e sanguinolente. Non mancano le scene esplicite e violente che avevano caratterizzato la saga, facendo parlare di sé.
Proprio l'avanzamento di classe sociale porta ad un nuovo setting ideologico per il protagonista, portandolo a confrontarsi con la vera arena cruda e spietata dell'Antica Roma: la politica. Sotterfugi, colpi di scena, intrighi di palazzo sono tutti elementi all'ordine del giorno.
La parola chiave sembra essere tradimento in questo spin-off, molto più che nelle stagioni precedenti. Un racconto ancora più crudo e spietato della serie madre, creato ad uso e consumo dei fan di questo tipo di serialità "godereccia" che cerca più spettacolarizzazione che trama di fondo.
Conclusioni
Spartacus: House of Ashur continua idealmente quanto fatto con la serie madre un decennio prima, puntando sull'aspetto estetico e voyeuristico piuttosto che su quello contenutistico. Il what if è un escamotage narrativo funzionale e legato al concetto di mito e leggenda, ma che lascia perplessi. Interessanti però il ribaltamento di ruoli e la conseguente componente politica, meno l'inclusività che sembra forzata con la prima gladiatrice donna (e afroamericana) della storia.
Perché ci piace
- Un racconto sempre sanguinolento e stilisticamente coerente con la saga precedente.
- Il rapporto schiavi-padrone ribaltato, con Ashur fuori posto anche tra nobili e ricchi.
- I riferimenti alla serie originale.
Cosa non va
- Il what if è un escamotage narrativo funzionale al contesto mitologico, ma che lascia perplessi.
- L'inclusività in parte forzata, nonostante la testimonianza storica.